Ti amerò fino ad ammazzarti: il cinema
ed i delitti passionali
1. Introduzione
Chi non ricorda le vicende
di Assunta Spina, l’eroina del
romanzo di Salvatore Di Giacomo e quelle non meno tragiche dell’infelice
protagonista de Il marchese di
Roccaverdina? Generalmente, chi uccide per amore, è un soggetto disperato
che ha idealizzato fortemente l’oggetto amato fino a fargli perdere i connotati
concreti e reali. Come è noto, il termine “passione”
deriva dal greco “pascheia” e dal latino “pati”, “soffrire, patire” e chi si
macchia di un delitto passionale rimane vittima di cortocircuiti mentali
che lo spingono, erroneamente,
a pensare che l’oggetto amato voglia punirlo, allontanandosi da
lui. Il più delle volte, più che rimarginare ferite ed estinguere la sete di
vendetta, il delitto acuisce solo il senso si solitudine e di frustrazione del
reo che, quando raggiunge la consapevolezza di sentirsi separato, per sempre,
dall’amato/odiato oggetto d’amore, sceglie spesso la via del suicidio o
dell’autodistruzione.
L’universo della celluloide non poteva
non essere attratto da un tema così affascinante e negli anni numerosi registi e
sceneggiatori, appartenenti a diverse cinematografie, hanno inondato lo schermo
con storie appassionate ed appassionanti.
Siano essi noir (Schiava del male)
o commedie (Ti amerò fino ad ammazzarti,
Divorzio all’italiana) soft erotici (La
gabbia) o B-movie (Una lucertola con
la pelle di donna) non c’è amante che non cova nella cenere la propria
rabbia e che, sul finale, scateni la propria furia vendicatrice.
Non potendo, per ragioni di spazio,
trattare tutte le pellicole incentrate sul tema, ne analizzerò solo alcune tra
quelle che mi sembrano le più significative.
2. Il delitto passionale nella
cinematografia internazionale
Messi da parte
Il diavolo nell'abisso e
Delitto senza passione, due film cult
degli Anni Trenta ed i magnetici Ombre
malesi (1940), Schiava del male
(1944), Turbine d'amore (1946) in
Anime in delirio una donna Louise
Howell (Joan Crawford) vaga per strada, in uno stato confusionale, chiedendo ai
passanti notizie di un certo David. Ricoverata in un reparto psichiatrico è
visitata da due dottori che le chiedono di raccontarsi. Flashback. Lousie è
un’infermiera ed accudisce Pauline, una donna sofferente di una grave forma di
depressione. Louise ama David Sutton (Van Heflin) ma lui non vuole avere legami
stabili ed, immerso nel lavoro, non pensa ad altro che alla prossima partenza
per il Canada. Pauline si suicida e suo marito Dean (Raymond Massey), divenuto
vedovo, inizia a fare una corte discreta a Louise che accetta di sposarlo. Ma
lei è ancora rapita dalla passione per David che, ritornato dal Canada, fa gli
occhi dolci a Carol (Geraldine Brooks) la giovane e bella figlia di Dean. Louise
inizia a delirare; non solo è convinta di aver ucciso Pauline ma crede che
qualcuno stia complottando contro di lei. Dean vuole ricoverarla in un clinica
ma lei, rosa dalla gelosia, va a casa di David e lo uccide.
Melodramma a forti tinte che deve gran
parte del proprio fascino alla splendida fotografia di Joseph A Valentie ed ai
continui flashback che ci riportano al tormentato passato della protagonista. Il
regista è attento a confezionare una storia romantica e disperata e mette in
scena una donna che, per tutto il film, prova, invano, a far breccia nel cuore
di David ma, quando scopre di averlo perso definitivamente, divorata dalla
gelosia, finisce per perdere se stessa.
Ne
La strada scarlatta,
Cristopher Cross (Edward G. Robinson) è uno stimato cassiere di mezza età.
Sposato con una megera, di domenica coltiva l’hobby della pittura. All’uscita di
una festa, organizzata in suo onore dai colleghi di lavoro, mentre è da solo in
strada, soccorre una donna Kitty March (Joan Bennett) schiaffeggiata da un
malvivente. Kitty, convinta che Cris sia un pittore ricco e quotato, inizia a
fargli le fusa. La donna, su suggerimento di Johnny (Dan Duryea) il suo uomo,
inizia a spillargli sempre più quattrini che l’ingenuo cassiere è costretto a
sottrarre dei fondi dalla banca. L’uomo, follemente innamorato, crede di essere
ricambiato dalla donna e non dà peso al fatto che Kitty venda, a sua insaputa, i
suoi quadri (molto apprezzati da un critico di grido) e che la stessa firmi con
il suo nome, le sue opere. Ma quando Cris scopre che la donna si è preso gioco
di lui, l’ammazza, facendo ricadere la responsabilità del delitto sul perfido
Johnny. Dopo aver tentato il suicidio, il povero cassiere, divenuto un barbone,
vagherà per la città, senza meta, auto-accusandosi del delitto ma non verrà
creduto.
In questo capolavoro noir, remake de
La chienne, film
diretto da Jean Renoir nel 1931 e tratto da una pièce di George de la
Fouchardière, Laing mette in scena la classica dark-lady che prende al laccio
l’ingenuo americano della Middle class che (come al solito) ci lascia il cuore,
il portafoglio e le penne. Ma la bellezza di questo film non è solo nello
sviluppo della trama (in qualche modo prevedibile e scontata) quanto nella sua
spettacolare ambientazione onirica e suggestiva.
Ne
L'altalena di velluto rosso,
il famoso architetto Stanford White (Ray Milland)
all’età di cinquanta anni s’innamora perdutamente di Evelyn Nesbit (Joan
Collins) una giovane ballerina di Broadway che diventa,
ben presto, la sua amante. Stanford è sposato ma non sopporta l’idea che Evelyn
continui ad esibirsi nei locali notturni e, dopo averla coperta di gioie e di
vestiti, le impone di ritirarsi dalle scene e di andare a vivere in un collegio
femminile. Lei accetta senza battere ciglia ma
entra in uno stato depressivo e finisce per
accettare la corte discreta di Harry Thaw (Farley Granger) un giovane
milionario, mite e passivo, che l’invita a fare un giro in con lei in Europa.
Durante le loro peregrinazioni per il Vecchio Continente i due s’innamorano ed,
al ritorno in America, si sposano. Divorato da un’insana gelosia nei confronti
di Stanford, Harry è convinto che il suo rivale, in passato, abbia fatto bere ad
Evelyn del vino contenente un potente sedativo ed abbia poi abusato di lei.
Incapace di scacciare dalla propria mente questa ossessione, uccide Stanford con
un paio di colpi di pistola ed ai presenti che hanno assistito al delitto urla:
“L'ho ucciso perché ha
rovinato mia moglie!” Nel corso del
processo la giuria è orientata a condannarlo a morte ma sua madre (Cornelia Otis
Skinner) convince Evelyn a deporre in tribunale e ad avallare le farneticante
ipotesi del marito che, giudicato, infermo di mente, è ricoverato in manicomio e
condannato ad una pena più lieve. Evelyn riceve il benservito dalla suocera e
riprende a calcare le scene come ballerina.
Pellicola dai colori fiammeggianti che
non sarebbe dispiaciuta a Douglas Sirk e che mette in scena una tragica storia
d’amore, avvenuta agli inizi del Novecento, ispirata alla vicenda di Stanford
White, famoso architetto che aveva realizzato il Madison
Square Garden di New York.
Il regista
mescola più generi (dal melò al sentimentale al musical) e lascia che la
vicenda, abbastanza piatta, deflagri nel finale con il deliro di gelosia di
Harry.
Ne
La signora della porta accanto
Bernard (Gérard Depardieu) e Mathilde (Fanny Ardant) un tempo si amavano. Dopo
le solite incomprensioni si perdono di vista ed otto anni dopo, lei, per caso,
va ad abitare con il marito Philippe (Henri Garcin) nella villetta di fronte a
quella di Bernard, sposato con Arlette (Michèle Baumgartner) e padre del piccolo
Thomas. Basta uno sguardo e Bernard e Mathilde ridiventano amanti. Scoperti,
Bernard ritorna con la coda tra le gambe dalla moglie in attesa di un secondo
bambino; Mathilde, invece, piomba in un grave stato depressivo ed è ricoverata
in una clinica per malattie mentali. Con il passare dei giorni Mathilde non
migliora e, nel tentativo estremo di scuoterla, Philippe chiede a Bernard di
andare a trovarla in clinica. Ma Mathilde ha intuito che il suo amante non l’ama
più ed, una volta dimessa, gli chiede un ultimo incontro e dopo aver fatto
l’amore con lui, lo ammazza e poi si suicida, sparandosi un colpo alla testa.
Truffaut impagina una delle storie di
“amor fou” più intense della storia del cinema e lascia che la passione dei due
amanti trasudi da ogni inquadratura. Incapace di accettare compromessi,
dimentica della rispettabilità borghese, Mathilde, piuttosto che seppellire
sotto la cenere l’amore che nutre per Bernard, si lancia a capofitto in una
storia che, inevitabilmente, finirà per travolgerla. Al suo confronto Bernard
impallidisce ed appare come un uomo meschino, mediocre ed emotivamente troppo
controllato. Sul finale, il regista francese lascia ad Odile Jouve (Veronique
Silver), una donna divenuta zoppa, costretta a camminare con l’ausilio di un
bastone perchè anni prima aveva tentato il suicido per amore, il compito di
fungere da voce narrante e di sintetizzare la travagliata ed infelice storia
d’amore dei due protagonisti: “I corpi di
Matilde e di Bernard temo proprio che non saranno tumulati insieme. Se dovessi
scegliere un epigrafe funeraria per quei due, so bene cosa scrivere: Né con te,
né senza di te”. Ma nessuno chiederà il mio parere.”
In
Ballando con uno sconosciuto, Ruth
Ellis (Miranda Richardson) è una prostituta che lavora in un locale di gran
classe di Londra. Con il suo gelido fascino attira le attenzioni di Desmond
Cussen (Ian Holm) un uomo di mezz’età premuroso e gentile che si prende cura di
lei e del suo bambino malaticcio di dieci anni. Ma lei non ha occhi che per
David Blakely (Rupert Everett) un giovane ed atletico corridore automobilistico
che appartiene ad una nobile famiglia londinese ed è fidanzato con Cristina
(Joanne Whalley) un’elegante rampolla dell’aristocrazia. Ruth e David ben presto
diventano amanti ma la loro relazione è costellata da continue scenate e da
qualche schiaffo di troppo. Ruth è incinta ma abortisce e va a vivere con
Desmond. Ma il suo cuore è ancora in tumulto per David e la gelosia la divora
sempre più al punto da esplodere nel finale con l’assassinio di David.
Il film, remake de
Gli uomini condannano diretto da Jac
Lee Thompson nel 1956, non è solcato da lampi o da colpi di scena ma
l’ambientazione è elegante e raffinata ed il regista regala un grande affresco
d’epoca della Londra alla metà degli Anni Cinquanta. Ruth è descritta come una
donna isterica che, invece, di sprizzare sensualità da tutti i pori ed essere
dolce ed affettuosa con David, è all’opposto, dura, tagliente, volgare ed in più
occasioni lo insulta e lo umilia in pubblico. Accecata dall’amore per lui, però
non fa calcoli e mette a repentaglio la propria sicurezza economica che il fido
e servile Desmond le garantisce. David, dal suo canto, è descritto come un
ragazzo violento e manesco, che alza spesso il gomito e, privo di spina dorsale,
non sa scegliere se troncare definitivamente o legarsi a Ruth. In questo
perverso gioco ad incastro i due non possono che scivolare nel baratro e la
rabbia e la vendicatività di Ruth faranno il resto. A chiudere il cerchio la
figura fin troppo passiva di Desmond che, nel timore di perdere Ruth accetta in
silenzio i suoi tradimenti e la segue per tutto il film come un cagnolino con la
coda perennemente tra le gambe. Ispirato ad una storia autentica: Ruth Ellis fu
riconosciuta colpevole ed impiccata nel luglio del 1955.e l’ultima donna
giustiziata in Inghilterra. (...)
3. Il delitto passionale nella
cinematografia italiana
Tralasciate
Riso amaro,l’indiscusso capolavoro di
Giuseppe De Santis, il noioso ed imbarazzante
La gabbia, numerose sono le pellicole
sul tema prodotte dalla cinematografia italiana.
In
Gelosia. il marchese di Roccaverdina
(Erno Crisa), ricco proprietario terriero, s’innamora di Agrippina Solmi (Marisa
Belli) una giovane contadina e, dopo averla accolta nel proprio palazzo, la
tratta come una sposa e prova a trasformarla in una donna signorile e di alta
classe. In paese i benpensanti mormorano e lo scandalo giunge alle orecchie
dell’arcigna zia (Paola Borbone) che piomba come un falco a palazzo e minaccia
di interdire il nipote e di cancellarlo dal testamento. Per non infangare il
prestigio e l’onore della famiglia, il marchese finge di accettare la corte
discreta di Zosima (Liliana Geraci) la sua dolce cugina. Ma il suo cuore è in
fiamme e, non riuscendo a stare lontano dalla sua amata, propone a Rocco
(Vincenzo Musolino), il suo fidato fattore, di sposare Agrippina e di simulare
un matrimonio di facciata. Accecato dalla gelosia e divorato dal timore che
Rocco possa non tenere fede al patto, al termine della cerimonia nuziale, lo
uccide a colpi di lupara. Neli Casaccio (Gustavo De Nardo) un povero contadino è
incolpato dell’omicidio e condannato a trenta anni di prigione. Divorato dai
sensi di colpa il marchese confessa a Don Silvio (Alessandro Fersen), il parroco
del paese, di essere l’autore del delitto ed, invano, il prelato prova a
convincerlo a costituirsi. Il marchese prova a scacciare via i propri fantasmi e
sposa Zosima ma Neli Casaccio fugge dalla prigione ed è ucciso dalle forze
dell’ordine. Il marchese precipita nella follia e muore tra le braccia di
Agrippina che lo consola e gli ripete che non l’avrebbe mai tradito.
Germi traspone fedelmente il romanzo
omonimo di Luigi Capuana e regala un affresco verista della Sicilia, descritta
come una terra governata da atavici pregiudizi e dalla disparità di classe.
Impossibilitato a coronare il proprio sogno d’amore, il marchese deve piegarsi
al volere della zia e, dopo aver stretto il patto scellerato con Rocco,
impazzisce. Con grande maestria Germi ci mostra la graduale ed inarrestabile
discesa nella follia del protagonista che, divorato dai sensi di colpa, fa
togliere un enorme crocifisso di legno che campeggiava nel suo palazzo e, prima
di morire, allucina dei fantomatici nemici e sente degli spari e dei canti in
lontananza.
Ne
Una lucertola con la pelle
di donna
,Carole Hammond (Florinda Bolkan)
è
tormentata da incubi che vedono come protagonista Julia Dürer
(Anita Strindberg),
una vicina di casa dalla vita sessuale sfrenata e disinibita.
Carole riferisce
al dottor Kerr (Georges
Rigaud), il suo psicoanalista, di averla pugnalata, in sogno, con un
tagliacarte. Julia viene uccisa con le stesse modalità e Carole è incolpata
dell’omicidio perché sul luogo del delitto vengono rinvenuti una pelliccia, una
sciarpa bianca e un tagliacarte che le appartengono. Grazie all’intervento del
padre, lord Hammond, Carole viene scarcerata e ricoverata in una lussuosa
clinica privata. L’ispettore Corvin (Stanley Baker) continua a indagare sul
misterioso delitto e scopre che Carole, su consiglio dell’analista, prendeva
nota dei suoi sogni. E se qualcuno fosse venuto in possesso degli appunti e
avesse compiuto il delitto per incolpare Carole? I sospetti ricadranno a turno
su Frank (Jean Sorel) suo marito, su Joan la figliastra, su Deborah l’amante di
Frank e su due giovani hippy. Sul
finale si scopre che Carole, aveva ucciso Julie, la sua amante, perché non
tollerava i suoi continui tradimenti
Fulci confeziona un giallo d’alta
classe, avvincente e pieno di colpi di scena che affascina per l’atmosfera
onirica e psichedelica che lo attraversa. La
bollente relazione tra Julie e Carole fa da sfondo alla vicenda ed il
regista la arricchisce con inseguimenti mozzafiato, soffitte buie popolate da
pipistrelli che svolazzano sul viso terrorizzato della protagonista e con oscuri
e labirintici sotterranei. Carole è descritta come una creatura gelida, fredda e
calcolatrice che, per tutta la durata del film, non solo non si pente per
l’omicidio commesso ma, nel corso della vicenda, depista sapientemente gli
investigatori e mente finanche all’analista a cui si rivolge.
In
Quale amore
Andrea
(Giorgio Pasotti) è ricoverato in un manicomio criminale ed ha ottenuto due
giorni di permesso per rivedere i propri figli. In un anonimo aeroporto
svizzero, bloccato dalla neve, racconta ad uno sconosciuto (Arnoldo Foà) la
propria vita inquieta e tormentata funestata dalla sua incontrollabile gelosia
che lo ha spinto ad uccidere la moglie, la bella ed affascinante Antonia
(Vanessa Incontrada) una valente pianista che aveva rinunciato ad una brillante
carriera per accudire i bambini nati dalla loro unione. Giovane rampollo di una
coppia divorziata dell’alta finanza, Andrea ripercorre a ritroso le tappe
salienti del matrimonio e descrive Antonia come una donna spenta ed annoiata
che, grazie all’incontro con Daniel (Andoni Gracia) un valente violinista,
rinasce e riscopre la passione per la musica. Escluso da un piacere che non può
condividere con la moglie, divorato dalla gelosia e dall’idea di averla persa
per sempre, Andrea la uccide.
Il film è un lungo flashback e rispetto
all’intenso Sonata a Kreutzer, il
romanzo di Lev Tolstoi da cui è tratto, il regista trasporta la vicenda dagli
inizi dell’Ottocento ai giorni nostri e dalla Russia alla gelida ed impersonale
Lugano. Sciarra lima eccessivamente l’importanza della musica che, nel testo
originale, funge da elemento legante tra i due amanti e tradendo ancor di più lo
scritto originale, dona all’affascinante Antonia un atteggiamento fin troppo
disinibito che lascia dei dubbi sulla sua reale fedeltà al marito.
L’ambientazione nel freddo aeroporto, isolato dalla neve, amplifica ancor di più
la solitudine che attanaglia il protagonista che, dopo aver scontato parte della
pena, deve volare negli Stati Uniti per incontrare i figli.
Non si può concludere questa rapida
carrellata sulle pellicole italiane che ruotano intorno al tema dei delitti
passionali senza citare Divorzio
all’italiana, ironico, caustico ed irresistibile capolavoro di Pietro Germi.
Come è noto la vicenda era un chiaro attacco all’allora vigente Articolo 587 del
Codice Penale che prevedeva una pena minima per chi, colto in fragrante il
coniuge, si fosse macchiato di un “delitto d’onore”. Germi inonda la pellicola
di scene gustose che ruotano intorno a Marcello Mastroianni, che interpreta un
pittoresco barone siciliano, invaghito della cugina sedicenne (un’irresistibile
Claudia Cardinale) che trama affinché la moglie lo tradisca con un timido
pittore, per poi ucciderla.
4. Conclusioni
Da questo breve excursus sulle pellicole
prodotte sul tema, emerge che registi e sceneggiatori,
ognuno con le proprie specifiche cifre stilistiche, hanno tradotto sullo
schermo, illusioni e delusioni amorose, incubi e passioni, lacrime e tradimenti.
Pur senza generalizzare, le protagoniste
femminili sono mostrate sullo schermo come delle creature che provano a legare
per sempre l’amato a sé ma, quando scoprono che ogni loro tentativo è vano,
s’infiammano d’un colpo e compiono la loro disperata vendetta (La
seduzione, La calda amante…) utilizzando per lo più armi da fuoco. I
registi indugiano a lungo, con la macchina da presa, sul volto amimico e
disperato della protagonista che, vittima, di un amaro, tragico ed ineluttabile
destino, dopo aver commesso il delitto, con lo sguardo perso nel vuoto, sono
divorate da un senso di profondo spaesamento per aver ucciso, insieme all’amato,
una parte del Sé.
Nelle pellicole dove compaiono, invece,
i protagonisti maschili la gelosia trasuda da ogni immagine ed il tragico
epilogo, che esploderà nel finale, incombe sin dalle prime scene. Dopo essersi
dannati l’anima per aver covato a lungo nella cenere i loro propositi criminali,
gli autori del delitto finiranno anche loro per perdere se stessi.
Articolo pubblicato su Psychomedia 13-11-2010
Stralcio della
relazione presentata al XII Convegno Nazionale di
Studi "Crimini e delitti" - Ospedale Psichiatrico Giudiziario d'Aversa - 2009