Spanglish di James L. Brooks – 2005

 

Flor (Paz Vega) è una giovane e bella messicana, abbandonata dal marito e madre di Cristina, una ragazzina spigliata e simpatica. In cerca di fortuna, Flor decide di trasferirsi con la figlia in America.  Approda a Los Angeles, dove viene assunta come cameriera presso la ricca famiglia Clasky, composta da John (Adam Sandler) un rinomato chef, sua moglie Deborah (Tea Leoni), due paffuti ed impacciati figlioletti ed una nonna dotata di un’invidiabile saggezza ma sempre alticcia. Flor è una domestica perfetta, con uno spiccato senso materno, ma ha un piccolo difetto: non comprende una parola di americano. Tutto sembra filar liscio ma, scattano, inevitabili le incomprensioni, dettate non solo dalla chiara disparità di classe e dalla differente visione del mondo ma soprattutto per la strana voglia di Deborah di proporsi, nei confronti di Cristina, come una madre più affettuosa ed adeguata di Flor.  Ci si aspettava di più da James L. Brooks, veterano del cinema americano, autore di “Voglia di tenerezza”, film (strappalacrime) premiato con una pioggia di Oscar nel 1983 e del recente “Qualcosa è cambiato”. Pur non essendo niente d’eccezionale, l’idea che muove “Spanglish”, non era, poi, neanche da buttare: raccontare le difficoltà di integrazione della comunità ispanica nel tessuto statunitense. Non a caso, il titolo stesso del film è un chiaro riferimento a quel particolare idioma che parla la comunità latina in America. La pellicola di Brooks non lascia il segno e, nel complesso, sembra un’occasione sprecata. Troppo debole, ad esempio, la metafora della protagonista che non vuole apprendere una parola d’americano perché il bel mondo che la circonda è fatto solo di apparenze ed è, fondamentalmente, finto, vuoto ed emotivamente silente.  Da elogiare la convincente prova dell’affascinate Paz Vega, al suo esordio hollywoodiano.

 

L’Articolo – Redazione napoletana de L’Unità – 27 – 4 - 2005

 

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