Il solista
di
Joe
Wright
con
Robert
Downey Jr.,
Jamie Foxx, Keener – USA - 2009
2005. Steve Lopez (Robert
Downey Jr.), giornalista di successo del Los Angeles Time, e
reduce da un incidente in bici che gli ha quasi sfigurato il volto, è a corto di
idee e non ha nessuna storia da proporre ai lettori. Un giorno s’imbatte per
caso in Nathaniel Ayers (Jamie Foxx), un bizzarro musicista nero, fuori di
testa, che suona per strada le struggenti note di Beethoven con un violino
dotato di due corde sole. Incuriosito dal personaggio Lopez scopre che Nathaniel,
prima di diventare un clochard, aveva frequentato una prestigiosa scuola di
musica (dove suonava il violoncello) ma poi affetto da una grave forma di
schizofrenia, aveva abbandonato gli studi. Inevitabilmente, Steve, finisce per
essere rapito dal fascino di questo dolente barbone. Da una storia vera.
Chi lo sa se Steve Lopez, l’autore
dell’omonimo romanzo, pubblicato nel
Perché questo fugace riferimento
all’opera breve di Suskind? Perché, in nuce, mostra già le caratteristiche
psicologiche di chi, come Nathaniel Ayers (che nel film, in verità, suona il
violoncello, strumento leggermente più piccolo del contrabasso) ha un’anima
chiaramente tendente alla chiusura, all’introversione ed all’isolamento.
Messi, momentaneamente, da parte le
considerazioni sulla psicologia del singolare, talentuoso e fragile musicista
protagonista della pellicola, é indubbio che questo film meriti più di una
considerazione. La vicenda è di quelle che ti affascinano, ti prendono e ti
coinvolgono emotivamente eppure, dopo la visione della pellicola, ti senti
ribollire dentro un misto di delusione e di scontentezza, di commozione e di
partecipazione, di rabbia e di s-(concerto). Da una parte sei, infatti, portato
ad identificarti con le sofferenze dell’infelice musicista, dall’altro,
razionalmente, ti sorge il sospetto che regista, sceneggiatrice e produttore
abbiano proposto un’operazione studiata a tavolino e puntato smaccatamente al
botteghino (la sofferenza mentale si sa, è un tema che hai suoi estimatori,
attrae sempre frotte di spettatori ed attira come il miele gli immancabili premi
e riconoscimenti).
Sin dalle prime battute, il regista
gioca però a carte scoperte e mostra Nathaniel, un musicista di talento che ha
frequentato
Messi da parte, dubbi e sospetti
iniziali, ad una più attenta osservazione, appare evidente che al regista
interessa più la figura di Steve, un giornalista profondamente in crisi, alla
ricerca disperata in qualcosa in cui credere, separato dalla moglie Mary (una
fulgida e troppo sacrificata
Catherine Keener), sua collega al giornale e padre di un figlio
adolescente con il quale non ha rapporti da anni.
Senza calcare la mano, il regista
descrive Steve come un uomo spento, demotivato, alla ricerca di un proprio
equilibrio. L’incontro con Nathaniel diviene per lui l’occasione per riprendere
contatto con le proprie emozioni ormai silenti e, dopo aver visto nel suo volto
l’estasi di chi si lascia trasportare dalle sonate di Beethoven, commosso,
all’ex moglie confida: .“Io non ho mai
amato niente nel modo con cui lui ha amato la musica”
Accecato dall’idea di offrire una via
d’uscita a quello stralunato personaggio, convinto che Nathaniel possa
facilmente lasciarsi alle spalle deliri ed ossessioni, lo strappa dalla strada,
ottiene per lui un alloggio soddisfacente e, testardamente, gli organizza un
piccolo concerto dove esibirsi in pubblico. Sul finale, Steve, sarà costretto a
fare i conti con la cruda realtà, ad accettare, con disincanto, la malattia che
ha devastato la mente di Nathaniel ma sceglierà di rimanergli accanto come
amico. Un finale amaro, quindi, diverso da quelli a lieto fine, lontano mille
miglia da quello consolatorio di
Scott Hicks
e da quelli a cui ci ha abituato una certa cinematografia hollywoodiana.
Una pellicola ricca di ombre e di luci e
che, hai suoi limiti più che nello script, in una regia troppo scolastica,
didascalica ed indolente che punta troppo spesso la mdp sul volto estasiato del
protagonista mentre intona Beethoven. Un film che mostra, impietosamente,
l’altra faccia dell’american Dream e che lascia trasparire in controluce il
dramma di migliaia di senza tetto che pur vivendo nella nazione più opulenta del
continente, si trascinano nella miseria, dimenticati da tutti. Calda ed
avvolgente la fotografia di
Seamus McGarvey.
Convincenti Robert Downey Jr e Jamie Foxx.
Recensione pubblicata su Psychomedia –
9- 2- 2011