Intervista a Silvio Soldini

 

Dopo la prova "autoriale" di Brucio nel vento" con questo ultimo film ("Agata e la tempesta" N.d.R) sembri essere tornato ad una composizione simile a "Pane e tulipani", il tuo film più noto, apprezzato da critica e pubblico..Non a caso nel cast di "Agata e la tempesta" ricompare Licia Maglietta, Battiston e la Missiroli...Come sta rispondendo il pubblico?

 

"E' una settimana che siamo in giro per l'Italia a presentare questo film...E' un film corale e sta andando abbastanza bene..."

 

Potevi fare come Bertolucci e girare il tuo "The dreamers"...

 

"Non ho visto il film..."

Bertolucci fa un film sulla memoria e connette all'interno della narrazione delle citazioni filmiche (La Regina Cristina, Il corridoio della paura...). In questo film uno dei temi conduttori è la letteratura. Non a caso la televisione che ospita Marina Missironi si chiama "Sherazade", prototipo in assoluto della narrazione letteraria. Al posto dei classici della letteratura (Madame Bovary, Ivanhoe, Il grande Gatsby...) che compaiono nel film, avresti anche tu potuto "citare" dei film...

"Questo è il film che avevo in mente e non ho pensato ad altro...Mi piaceva fare un film dove i libri fungessero da catalizzatori di storie e di cambiamenti."

 

Il titolo fa riferimento al singolare ad una tempesta (quella di Agata) ma nel film sembrano un po' tutti travolti dagli eventi...

 

"E' vero la tempesta coinvolge tutti i personaggi, non solo Agata."

 

In questo film stravolgi quello che generalmente è una delle regole dei "generi". Ad esempio, nella commedia all'italiana nessun personaggio muore...

 

"E' vero ma, in verità anche ne "Il sorpasso" Vittorio Gassman muore...In "Agata" è il momento più drammatico per eccellenza. La morte è un lutto che mette in moto un cambiamento."

 

Dirigere Licia Maglietta che è anche la tua compagna nella vita privata è più facile o più problematico?

 

"Più problematico..."

Gianni Amelio, nel suo ultimo volume "Il vizio del cinema" racconta una deliziosa storiella. Un giorno il regista John Boorman gli telefonò e gli disse che voleva incontrarlo per verificare una cosa che aveva scritto a proposito di un suo film: aveva scommesso che parlava a bassa voce, non solo sul set ma nella vita di tutti i giorni. La sua teoria non era campata in aria. A suo dire, se un regista teme che le immagini non arrivano al pubblico, "alza la voce", enfatizza, carica d'effetti una situazione. Come Boorman, anch'io avrei vinto la scommessa.

 

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