Soffocare (Choke)    

di Clark Gregg con Sam Rockwell, Anjelica Huston, Kelly Macdonald, Brad William Henke – USA – 2008- Durata 89’

 

Insieme all'amico Denny (Brad William Henke), Victor Mancini (Sam Rockwell) frequenta un gruppo di auto-aiuto per soggetti sesso-dipendenti e lavora come  comparsa al Colonial Williamsburg Park, un parco a tema per turisti e scolaresche, che ripropone, anacronisticamente, la vita al tempo dei pionieri. Ex studente di medicina, Victor ha abbandonato la Facoltà per pagare la retta di una lussuosa clinica privata dove è ricoverata sua madre Ida (Anjelica Huston), una donna eccentrica ed anticonformista, ormai divorata dal Morbo di Alzheimer. Come unico diversivo, Victor frequenta ogni sera un ristorante diverso dove finge di soffocare con del cibo, permettendo, in questo modo, a degli sconosciuti di salvargli la vita, di legarsi emotivamente a lui e di regalargli, poi, qualche soldo. In clinica Victor incontra Paige Marshall (Kelly Macdonald) che gli confiderà una sconcertante rivelazione sulle sue origini che (forse) gli cambierà, definitivamente, la vita.

Ho sempre pensato che vi sia una stretta correzione tra il titolo del film e l’opera stessa. E’ mia convinzione, infatti, che il titolo finisce, inconsapevolmente, per influenzare il lavoro del regista, fino condizionarlo ed a tramutarsi poi nella cartina da tornasole che sveli ed anticipi la struttura stessa del film. Messi da parte Vertigine di Otto Preminger ed Angoscia di George Cukor, i cui titoli originali non sono evocativi come quelli in italiano e rimandano ad altro (al nome ed alla illuminazione a gas presente nell’appartamento di proprietà della protagonista) potrei citerei, a sostegno della mia tesi diversi film ma, mi limito, ad Ossessione ed al recente Respiro. Aderendo perfettamente al titolo al quale s’ispira, la pellicola di Visconti non trasmette, forse, sin dalle prime battute, un forte senso d’inquietudine, di smarrimento e di spaesamento? E quella di Crialese non lascia trasparire, fotogramma dopo fotogramma, l’anelito di libertà, la voglia di “respiro” che attanaglia la giovane protagonista? Seguendo questa suggestione, che riconosco essere un po’ estrema e riduttiva, c’è da aspettarsi che Soffocare nasconda in sé, inevitabilmente, qualche trappola. Il titolo (presente anche nella versione originale) fa evidentemente riferimento alla bizzarra invenzione del protagonista che, per sbarcare il lunario, finge di soffocare per farsi soccorrere al ristorante dal prodigo e caritatevole eroe di turno ma, a mio avviso, rimanda, implicitamente, ai limiti stessi insiti nel plot, ricco di originalissimi spunti ma affastellato di eccessive trovate che finiscono per “soffocare” il respiro stesso della pellicola. Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, scrittore già noto al largo pubblico per il geniale Fight club, tradotto nel 1999 sullo schermo da David Fincher, Soffocare è un film grottesco, divertente che oscilla costantemente tra il comico ed il tragico, tra il sarcastico e l’irriverente. Peccato che Gregg, al suo esordio dietro la macchina da presa, non abbia saputo sfruttare appieno le potenzialità di una storia volutamente eccedente, che, come il grottesco impone, mette al centro della narrazione il corpo dei protagonisti. Da un lato quello di Ida, una donna sciroccata, con la mente ormai ridotta talmente ad un colabrodo che non le permette più di riconoscere il proprio figlio, e dall’altro quello di Victor, schiavo di pulsioni erotiche incontrollabili e perennemente in preda a dei “soffocamenti” (perfettamente simulati) con i quali riesce ad attrarre nella propria rete i malcapitati avventori. Piuttosto che mostrarci gli sviluppi legati all’originale tecnica di soffocamento messa in atto dal protagonista od approfondire i suoi turbolenti e conflittuali rapporti con la madre, una donna energica e volitiva che lo ha tirato su celandogli la vera identità del padre e nutrendolo con le sue strampalate considerazioni sulla vita e sul mondo, il regista si lascia prendere la mano ed inserisce una serie di elementi che restano miseramente abbozzati. Non avrebbero meritato un maggiore sviluppo le storie dei pazienti sessuomani che partecipano al gruppo di aiuto-aiuto? E che dire dell’esilarante confessione di Paige che rivela a Victor che sarebbe nato dal Santo Prepuzio di Gesù? “La bellezza sarà convulsa o non sarà” affermava Breton, ma Gregg, freneticamente, accumula, riempie, intasa e finisce per dissipare una storia che avrebbe meritato migliori sviluppi. La pellicola, scanzonata, risulta nel complesso gustosa e va salutata positivamente non solo perché frutto di una produzione indipendente a low budget ma perché, sprizza simpatia da tutti i pori e regala agli spettatori una discreta dose di buonumore. Non mancano, infatti, le scene travolgenti che mostrano le pazienti indementite, travolte da irresistibili fremiti erotici, lo stranulato Denny che s’innamora di sventola che si esibisce in un locale a luci rosse ed una comparsa del parco a tema, perfettamente calato nel proprio ruolo, che continua a rivolgersi a Victor ed agli altri colleghi con un linguaggio arcaico e forbito, in perfetto stile coloniale. Deliziosi i flashback che ripropongono le convulse scorribande di Ida con il piccolo Victor. Sam Rockwell, convincente nel ruolo, è supportato da Brad William Henke, ottima spalla e da una dolcissima, tenera e disarmante Kelly Macdonald. Un’Anjelica Huston, in gran spolvero, primeggia su tutti.

 

Dalla Rivista Segno Cinema - N 158 - Luglio - Agosto 2009

 

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