Si può fare?

di Giulio Manfredonia

 

Nel 1883 Paul Lafargue nel suo “Elogio alla pigrizia”, provocatoriamente, affermava: “Gli operai, cadendo nelle trappole della borghesia trionfante sono scesi addirittura al punto di proclamare come un principio rivoluzionario, il diritto al lavoro e spingendo la propria incoscienza fino a reclamarlo  con “ le armi in pugno “. Invece che il “diritto al lavoro”  occorrerebbe proclamare il “diritto alla pigrizia”. Il riferimento allo scritto di Lafargue, noto per aver sposato la figlia di Karl Marx, non è casuale e ed è risalito prepotentemente a galla dagli scantinati della mia memoria dopo aver visto “Si può fare”, pellicola di Giulio Manfredonia, ambientata, tra il 1981 ed il 1983 che narra di Nello, un sindacalista scomodo, mandato a dirigere la Cooperativa 180, composta da ex pazienti manicomiali. Dopo aver conquistato la loro fiducia, Nello li spinge a svolgere dei lavori ben retribuiti ed a mettere su un’impresa per la posa in opera del parquet. I matti si danno da fare conquistano una nicchia di mercato sempre maggiore e, dopo qualche (prevedibile e scontato) colpo di scena, sul finale partono, felici e festanti, per lastricare di legno i locali di una linea del metrò di Parigi. Ispirandosi a dei fatti reali, Manfredonia mette coraggiosamente in scena le vicende della cooperativa sociale Noncello di Pordenone ed andrebbe premiato per aver affrontato, seppur in maniera didascalica, il drammatico tema del disagio mentale, ai tempi dell’attuazione della Legge Basaglia.

A parte la trama, zeppa di luoghi comuni sui folli e sulla pazzia, le spudorate citazioni a Qualcuno volò sul nido del cuculo e la banale contrapposizione tra lo psichiatra liberal e quello in camice che imbottisce di psicofarmaci i pazienti, quello che colpisce è l’ideologia sotterranea che sottende la pellicola; bandite ogni forma di psicoterapia, l’unica via per strappare gli ex ricoverati dalla follia è quella di impegnarli come forsennati nel lavoro, nel rispetto dei tempi e dei ritmi che lo spietato mercato impone loro.. “Non è il tema che è politico ma è il linguaggio cinematografico che scegli che lo determina” mi diceva Matteo Garrone nel corso di un’intervista. Manfredonia sposa Basaglia ed il movimento anti-psichiatrico ma compone un film di destra sia per come lo struttura visivamente (l’impaginazione è da fiction televisiva) ma soprattutto perchè sposa l’idea (capitalistica) che il lavoro guarisce dalla pazzia e rende tutti sani. Se i matti del suo film avessero proclamato, come Lafaugue, il “diritto alla pigrizia”, Si può fare non sarebbe diventata una favola più divertente, anarchica e rivoluzionaria?

 

Da Segno Cinema – Numero 155 – Gennaio-Febbraio 2009

 

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