Una separazione  

 Simin (Leila Hatami) vuole abbandonare il paese dove vive. Ma Nader (Peyman Moadi), suo marito, non può seguirla perché deve prendersi cura dell’anziano padre (Ali-Asghar Shahbazi), ormai indementito. I due coniugi decidono allora di separarsi e finiscono davanti ad un giudice. Termeh (Sarina Farhadi), la loro figlia undicenne, decide di rimanere con il padre e Simin si trasferisce momentaneamente a casa della madre. Nader va al lavoro, Termeh deve frequentare la scuola e non c’è più nessuno che possa accudire l’anziano genitore. Simin contatta allora Razieh (Sareh Bayat), una donna che ha una figlia di cinque anni e che, all’insaputa del marito Hodjat (Shahab Hosseimi) si propone come badante. Ma lei è incinta ed un giorno per farsi visitare dal ginecologo, lascia l’anziano solo in casa. Nader rientra nell’appartamento prima di lei e trova il padre legato al letto ed in fin di vita. Quando Razieh ritorna dalla visita, Nader perde le staffe e con dei modi bruschi la caccia di casa, dandole una spinta. La donna precipita per le scale, perde il bambino e lo denuncia. E’ l’inizio di un lungo processo dove ognuno racconta la propria verità. Ma, forse, qualcuno mente e prova, ad arte, a mescolare le carte. Il cinema iraniano non è solo Abbas Kiarostami o Yafar Panahi, condannato agli arresti domiciliari per attività contrarie al regime. Asghar Farhadi, già premiato con l'Orso d'argento nel 2009 con About Elly ci sorprende con il suo intenso ed appassionante Una separazione, un film, impaginato come un giallo, che tiene sospeso lo spettatore fino all’ultimo fotogramma. Sullo schermo sfilano dei personaggi pulsanti e ricchi di umanità che soffocano dentro loro stessi dolori e sofferenze; Simin sogna una vita diversa e vuole scappare da quella vita diventata per lei una prigione; Nader, un uomo mite e dal cuore d’oro, si trova a difendersi dall’accusa infamane di omicidio; Termeh è costretta a fare da ago della bilancia tra i due genitori; Razieh accetta di lavorare di nascosto del marito, pur di portare a casa qualche spicciolo; Hodjat è un povero diavolo, malato e disoccupato. Una girandola di colpi di scena ci porterà a scoprire un’amara verità. Un film che rapisce per i dialoghi serrati, per una regia essenziale, decisa e senza fronzoli e che ci ricorda, come monito, come sia facile giudicare e di schierarsi da una parte o dall’altra.

 

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