I segreti di Brokenback Mountain di Ang Lee

 

E’ in sala “I segreti di Brokenback Mountain” l’ultimo film di Ang Lee. Vincitore dell’ultimo Festival del cinema di Venezia e di quattro Golden Globe è una pellicola noiosa e priva di lampi visivi che ha fatto la sua fortuna solo per il tema “scabroso” (l’amore gay tra due cowboy protagonisti) che lo attraversa. Tranne qualche bacio appassionato ed una scena di sesso attentamente ovattata da una fitta oscurità, il film non sorprende, non scandalizza, non appassiona e non è altro che un banale melodramma con il classico amore contrastato tra i due amanti (in/felicemente sposati e con prole) che termina con la morte di uno dei due protagonisti. Tanto rumore per nulla. Eppure l’America bigotta ha addirittura vietato la proiezione del film in alcuni suoi Stati. Sembra essere ritornati agli inizi degli Anni Trenta, al tempo del famigerato Codice Hays quando un ondata moralistica si abbatté su Hollywood e registi e sceneggiatori, per non incorrere nei tagli della censura, dovettero adeguarsi ad un elenco di regole ferree da rispettare; non si doveva indugiare nei primi piani dei baci dei protagonisti ed era vietato parlare di sesso, adulterio, stupro, prostituzione, omosessualità, feticismo ed altre forme di perversioni sessuali. Come narrano splendidamente ne “Lo schermo velato” (film-documentario diretto nel 1995 da  Jeffrey Freidman e Rob Epstein e tratto dall’omonimo volume di Vito Russo del 1981) inizialmente al cinema l’omosessuale era mostrato come un damerino che si muoveva sullo schermo con movenze effeminate per scatenare l’ilarità del pubblico o era destinato a perire in maniera tragica perché doveva essere punito per le sue innaturali inclinazioni sessuali. Nonostante le strette maglie della censura, con il passare degli anni, sceneggiatori e registi iniziarono ad inserire scene vagamente allusive e volutamente ambigue che lasciavano sottendere una scelta omosessuale del  protagonista della vicenda. Victim, Domenica, maledetta, domenica, The detective, Cruising fino al troppo celebrato Philadelphia sono (forse) le pellicole che più di ogni altra sono riuscite a rompere gli steccati del perbenismo cattolico e borghese e a mostrare l’universo gay sotto una luce diversa. Da più parti si è scritto che Ang Lee (che aveva già affrontato nel suo gustosissimo Banchetto di nozze il tema dell’omosessualità) nel narrare la storia di Jack Twist (Jake Gyllenhaal)  e di Ennis Del Mar (Heath Ledger) i due mandriani protagonisti della pellicola ha sfatato un mito che resisteva nei secoli; il cow-boy omosessuale e non più icona del machismo. Falso. Il western ha sempre esaltato il forte legame dei protagonisti maschili ed anche se non esplicitamente in odore gay come definire l’amicizia che lega John T. Chance (John Wayne) a  Dude (Dean Martin) in Un dollaro d’onore e quella tra J.P. Harrah (Robert Mitchum) e Cole Thornton (John Wayne) in El Dorado? Mi si potrebbe obiettare che la tematica gay non è più un tabù come ai tempi del Codice Hays, che ai giorni d’oggi un omosessuale come Oscar Wilde non finirebbe più in carcere, che un attore come Rock Hudson non sarebbe più costretto a fare un matrimonio di facciata e che la tematica omosessuale dei protagonisti di Lawrence d’Arabia  e Giorni perduti, ai giorni d’oggi, non verrebbe più celata come in passato. Ma è anche vero che se il film di Lee ha conquistato le copertine dei tabloid e delle riviste e suscitato tanto scalpore è (solo) perché l’omosessualità è ancora oggi un evidente tabù. Non è bastato che il  17 maggio del 1990 l'Assemblea generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' cancellasse l'omosessualita' dalla lista delle malattie mentali. Per l’immaginario collettivo un gay continua ad essere considerato un soggetto affetto da una patologia mentale. Per abbattere questa ulteriore forma di razzismo, in Europa, più di trenta nazioni hanno aderito all'appello di dedicare il 17 maggio alla “Giornata Mondiale contro l’omofobia” (termine che indica l’intolleranza e i sentimenti negativi nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali e che si manifesta con una battuta, con dei riferimenti offensivi e denigratori nei confronti di certi comportamenti, considerati contro-natura o immorali). Il clima culturale che si respira resta ancora pesante e come ricordava il mensile gay italiano “Pride”, nel numero dello scorso maggio dalle stazioni di Radio Maria si levano, costantemente, dei consigli e dei suggerimenti ai familiari di genitori gay per curare i loro figli malati ed infelici. Pensierino finale. Ang Lee ha ambientato l’infuocata relazione amorosa tra i due cow boy tra le solitarie vette di Brokenback Mountain. La sua è stata una scelta estetica o il (furbo) regista di Taiwan, consapevole delle secolari resistenze dell’immaginario collettivo sul tema, ha voluto rimarcare che una storia gay si può consumare solo lontano mille miglia dagli sguardi indiscreti?

 

Da La Voce della Campania N. 2 Febbraio 2006

Torna alla Homepage »