Intervista ad Ettore Scola

E’ Ettore Scola il secondo ospite della terza edizione di "FilmIdea - Incontri universitari di Cinema" dell'Università degli Studi di Salerno. Disponibile e caloroso, il regista autore di pellicole indimenticabili come “C’eravamo tanto amati”, “Una giornata particolare”, “La famiglia” si è raccontato agli studenti assiepati nell’Aula Magna dell’Università di Fisciano. Con il suo tono di voce, pacato e riflessivo, ha stregato tutti, elargendo suggerimenti e consigli ai giovani aspiranti sceneggiatori e registi.

Il regista, nato a Trevico, un paese di mille anime in provincia di Avellino, ironizza sulle proprie origini.

 

“Qualche incrostazione del Sud mi è rimasta certamente più nei difetti che nei pregi e del meridionale riconosco una certa pigrizia, rassegnazione e fatalismo, malerbe che ci portiamo sempre dentro. Ma c’è da dire che le persone del Sud che propongono cultura sono da ammirare perché si scontrano con delle difficoltà, con una certa indifferenza ed intolleranza maggiori che altrove.”

 

Cineasta di rango internazionale, Scola ha mosso i primi passi come sceneggiatore di pellicole di successo come l’irresistibile “Totò nella luna” diretto da Steno. Che ricordo ha del grande Totò?

 

“Non amo gli aneddoti, non mi sono mai accaduti. So solo che avevo conosciuto Totò perché ero quello che aggiungeva le battute, il “negro” di Metz e di Marchesi, i due grandi sceneggiatori della “commedia all’italiana”. Ho incontrato Totò ed era un gran signore, una persona molto gentile che serviva lui stesso il caffè a casa sua.”

 

Nella sua lunga carriera di regista ha diretto più volte Massimo Troisi.

 

“Troisi era un intellettuale napoletano che faceva per caso il regista e l’attore. La cosa meno nota di lui era la sua conoscenza del Meridione e la sua battaglia contro i luoghi comuni, quali l’allegria e la bontà che venivano affibbiati alle persone del Sud.”

 

Lei è stato sempre accusato da una parte della critica di claustrofilia

 

“E’ vero, amo ambientare le mie storie in ambienti angusti, in piccoli spazi. Io non faccio film d’azione e stare in un ambiente chiuso mi permette di stare più addosso a miei personaggi e a quello che pensano.”

 

Le ultime cronache riferiscono di un progetto di Michele Placido che vuole proporre in un teatro parigino il suo indimenticabile “Una giornata particolare” con Monica Bellucci nei panni che furono di Sofia Loren. Qual è il suo parere?

 

Non è certo la prima volta che il mio testo viene proposto in teatro. In Italia fu interpretato da Giovanna Ralli e da Giancarlo Sbraglia ed in Francia già un altro paio di volte ed in una di queste da Francois Fabian nelle vesti di protagonista. Io non devo dare la benedizione a nessun progetto. Io non lo farei perché sono molto legato alla rappresentazione cinematografica. La Bellocci nei panni della protagonista? E’ una bellezza moderna ed anch’io quando presi la Loren la imbruttii ed invecchiai parecchio. La Loren al tempo era un simbolo sessuale e di predominio sull’uomo.”

 

Crede che un film come “Il caimano” di Nanni Moretti possa influenzare l’esito della campagna elettorale?

 

“Il cinema può spostare i voti. Si pensi al New Deal e a tutti i film sull’americano perbene e qualunque che lotta da solo contro tutti i corrotti. L’iniezione di fiducia e d’ottimismo di quei film erano straordinari ma non erano legati ad un solo film ma ad una produzione più complessa.”

 

Quando Berlusconi vinse le elezioni lei dichiarò che in questi cinque anni non avrebbe girato un film. Eppure si sa che ha nel cassetto un vecchio progetto che si intitola “Un drago a forma di nuvola”.

 

“Ho detto che non avrei lavorato fino a che c’era Berlusconi. Confido che le cose cambino per il paese e non per le mie vicende personali.

Quella sceneggiatura è piaciuta molto a Depardieu ma temo che un film che è stato tanto tempo nel cassetto sia già diventato vecchio ed è come se lo avessi già fatto.”

 

Lei ha fatto spesso film sui potenti

“Si ma non mi sono mai posto nell’ottica di raccontare un potente, sia esso Hitler, Mussolini o Luigi XVI, ma cerco di dedicarmi al popolo. Ne “Una giornata particolare” mi occupo di quello che può accadere ad un semplice impiegato della radio, di quel popolo che con le guerre coloniali voleva conquistare un "posto al sole” e che contemporaneamente non aveva le scarpe e che nella guerra in Russia affrontava il nemico con i piedi fasciati con le bende.”

 

Come si è avvicinato al cinema?

 

“Quando ero adolescente mio padre che era medico voleva che ripercorressi le sue orme. Mi iscrissi a Medicina, ma non mi piaceva e passai alla facoltà di Legge, ma lavoravo già per il cinema ed alla fine quella passione ha preso il sopravvento.”

 

Come definirebbe un attore come Manfredi che ha  diretto in alcuni suoi film?

 

“Manfredi era un secchione, era quello che si metteva in un angolo e si ripeteva la parte. Era così pignolo che imparava a memoria anche le battute degli altri. Dava meno sorprese di Gassman e Tognazzi, ma era un grande attore, anche se  un po’ accademico.”

 

Che ne pensa del cinema italiano attuale?

 

“Il cinema è bello se riesce a leggere la realtà. Il pericolo è proprio nella fuga da questa realtà. Spesso il cinema italiano è stato accusato di essere troppo ombelicale ed era fatto da giovani cineasti che raccontavano la loro vita, una vita che non era ricca come quella di Hemingway o Jack London per cui le storie sembravano poco originali e poco convincenti. Il cinema italiano è diventato grande quando ha saputo raccontare al mondo intero cos’era l’Italia; quella del neorealismo, quella dopo il boom con la “commedia all’italiana”. Muccino, ad esempio, racconta solo una parte dell’Italia. Non è vero che tutti hanno la Volvo, che tutti pensano solo all’amore e al tradimento e che non abbiano altri tipi di preoccupazioni.  In Trevico- Torino, un viaggio dal Fiatnam” raccontavo di un emigrato che partiva per il Nord con la valigia di cartone in cerca di un lavoro. Se fossi un giovane cineasta del Sud, forse, oggi racconterei un emigrante che parte, non con la valigia di cartone, ma con la laurea. Bisogna partire da quello che si conosce meglio, da quello che sono le proprie storie. Io stesso do più importanza alla sceneggiatura che non alla regia. Jack London diceva: "L’ispirazione non viene ma va inseguita con un bastone..”

 

 Corriere del Mezzogiorno - Redazione napoletana de Il Corriere della Sera - 5 Aprile 2006

 

 

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