Intervista a Gabriele Salvatores
Come definire Gabriele
Salvatores? Maestro, poeta, sognatore, visionario? Regista unico nel panorama
italiano, ha sempre spiazzato (favorevolmente) il suo pubblico, intercettando
sguardi e traiettorie visive, confezionando, con il suo stile originale ed
inimitabile, pellicole che sono entrate a far parte della storie del cinema.
E’ da qualche giorno nelle sale
il suo ultimo film “Quo vadis baby”, pellicola tratta dal romanzo omonimo di
Grazia Verasani (edito da “Colorado Noir”) e già vice-campione d’incassi, dietro
il kolossal Star wars III.
Perché mai hai definito il tuo
film, un “noir”?
“In genere i critici odiano i
“generi” e li considerano film di
serie B.. Dichiarare che il mio film era un “noir”, poteva essere, quindi,
controproduttivo. Secondo me lo è a tutti gli effetti; c’è il rapporto tra
passato e presente, una donna scomparsa ed altri elementi che lo annoverano di
fatto in quella poetica. Del resto il “noir” non è un genere definibile, ma a
differenza del giallo, ha delle caratteristiche psicologiche forti ed ha un
certo sguardo sulla realtà. Ma forse è anche vero che tutte le storie sono già
state raccontate. Anche il “noir”, come tutti i generi, è pur sempre una gabbia
entro cui devi muoverti. Del resto, “Mediterraneo” era un film di guerra
atipico, “Marrakech Express” era un road movie che assomigliava a “Il grande
freddo” e “Nirvana” fu paragonato a “Blade runner”. La cosa divertente fu che
quando uscì “Matrix” lo paragonarono a “Nirvana”. In altre parole, quando vai
alla ricerca di qualcosa di nuovo non hai, né la purezza del cinema di genere,
né quello di autore.”
Come mai il tuo film è così
ricco di citazioni musicali e cinematografiche?
“Il romanzo di Grazia è pieno di
citazioni di gruppi musicali appartenenti alla generazione successiva alla mia.
Quando abbiamo deciso di partire con la storia dei filmini in Super 8, ho
pensato che bisognava trovare un pezzo che ricordasse l’atmosfera di quegli
anni. “Impressioni di settembre”, scritta da Mogol e da Mauro Pagani della PFM
mi sembrava l’ideale. Per quanto riguarda le numerose citazioni
cinematografiche, non mi interessava dire che conosco quei film. Sono pellicole
che amo ma, la loro presenza all’interno del film, era funzionale alla storia.
E’ naturale, ad esempio, che una ragazza come Ada, che va a Roma e sogna di fare
l’attrice, abbia in casa delle locandine di film e che, essendo in rotta con la
propria famiglia d’origine, abbia proprio quella de “I pugni in tasca”, film
simbolo sulla contestazione familiare. E’ anche interessante notare come la
nuova generazione che sta andando a vedere “Quo vadis…”, nello scoprire una
locandina di un film, si chiede: “Ma come sarà quel film?” e se lo va a vedere.”
Come scegli le storie dei tuoi
film?
“Si sceglie una storia anche in
maniera casuale Del libro di “Puerto Escondido” me ne aveva parlato un amico.
“Io non ho paura” ho deciso di girarlo dopo aver incontrato Niccolò Ammaniti a
casa di amici. Lui mi ha inviato il giorno dopo il suo libro, mi è piaciuto e ne
ho fatto un film. In questo caso “Quo vadis baby” era il primo titolo della
collana “Colorado Noir” e poiché ci piaceva, abbiamo deciso di farne un film. Ma
le scelte, a volte, sono anche più “naturali” di quanto si possa credere. Un
giorno Diego Abatantuono, dopo “Turnè e Marrakech Express”, mi disse: “Sono
stanco di andare in giro. Perché non ci fermiamo due mesi su un’isola, ci
riposiamo e facciamo anche dei bagni…Nacque così “Mediterraneo”.
Sembra che il tuo essere
napoletano lo vivi sottotraccia…
“Non appena ho messo piedi in
città, ho sentito l’odore del mare della frittura e mi sono detto: “Sono a
casa”. Tengo molto a questa città, non solo perché c’è ancora parte della mia
famiglia ma perché, da questa terra, ho imparato a ridere delle cose tragiche ed
ad intristirmi per quelle allegre. Anche se ho un accento che sembra del Nord,
non dimentico di aver vissuto a Napoli fino a sei anni. Ci si forma in tante
maniera, anche con il ragù fatto
dalla propria mamma.”
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)