Intervista a Stefano Rulli
L’ultima sua fatica è stata la
sceneggiatura del recentissimo “Quando sei nato non puoi più nasconderti”,
diretto da Marco Tullio Giordana, presentato qualche giorno fa, al recentissimo
Festival di Cannes.
Sei soddisfatto di come è andato il
film?
“E’ stato un lavoro interessante e
credo, sia stato accolto, favorevolmente, sia dalla critica che dal pubblico. E’
la storia di un romanzo di formazione. La vicenda narra di un ragazzo che vive
in una ricca famiglia bresciana e che, un giorno va in Grecia. Durante il
viaggio in barca, di notte, cade in acqua e viene soccorso da alcuni
extracomunitari. Solo allora scopre questo mondo ed incontra due giovani con cui
lega molto. Non è un film sugli extracomunitari ma è sullo sguardo di noi
occidentali, sui nostri sensi di colpa, sul mistero della loro cultura. Al di là
della divisione manichea tra buoni e cattivi, è soprattutto un film “in
soggettiva”, sull’innocenza dello sguardo dei ragazzini.”
Ti sei sempre occupato dei rapporti tra
cinema e follia. Dopo lo storico “Matti da slegare”, diretto con Marco
Bellocchio, Sandro Petraglia e Silvano Agosti sull’onda dell’esperienza
anti-manicomiale di Basaglia, hai girato “Un silenzio particolare” Come è nata
l’idea di questo nuovo documentario?
“Da diversi anni mi occupo di progetti
di vita per problematiche mentali. Con mia moglie, Clara Sereni abbiamo creato
un agriturismo, “La città del sole”, un luogo aperto a tutti e che ospita anche
persone affette da un disagio mentale. Mio figlio Matteo era con noi in vacanza.
Avevo pensato di girare qualcosa sulla vita di questo agriturismo ma il
materiale, sempre più oggettivo, è diventato un racconto
sempre più “intimo e familiare”. Matteo non ha mai avuto nessun rapporto
con il mio lavoro ma in questa occasione è come se fosse voluto entrare in
campo, come un suo volersi raccontare. Non c’era una sceneggiatura vera e
propria ma solo una traccia iniziale. Ero partito dall’idea di filmare il
pranzo, le passeggiate ma poi, man mano, Matteo è riuscito a comunicare con dei
linguaggi suoi. Alla fine del montaggio l’abbiamo visto a casa e Matteo è
rimasto molto colpito dal film ed ha voluto rivedere i suoi maggiori momenti di
difficoltà. Spero che questo film possa offrire uno sguardo diverso della
malattia mentale, sguardo orientato più ad una ricerca di valori che e di storia
di questi soggetti che non in senso compassionevole. Il mio obiettivo è quello
di mostrare persone per quello che sanno dare e non per quello che non hanno. Mi
auguro, inoltre, che questa pellicola possa essere d’aiuto per modificare un
immaginario ormai consolidato. Anni fa c’era una visione più ideologica della
malattia mentale ed il recupero sociale sembrava essere l’unica ricetta
possibile. Basaglia sapeva che esisteva la malattia mentale; altro era saperla
catalogare e risolverla.”
“Un
silenzio particolare” ha vinto recentemente il premio di David di Donatello
vinto come miglior “lungometraggio-documentario”. Ti aspettavi questo
prestigioso riconoscimento?
“Il film era stato molto apprezzato in
certi ambienti ma, sinceramente, non credevo che potesse essere premiato, anche
perché in concorso c’erano altri lavori molto interessanti come quello diretto
da Gianfranco Gabaddu su “Paolo Fresu”, un gruppo musicale sardo.”
E Matteo come ha reagito?
“Quando c’è stata la cerimonia di
premiazione, ha preso lui il David e non lo voleva più mollare. Mi ha fatto
molto piacere tutto questo anche perché ciò è il segno di un riconoscimento
personale e la testimonianza del fatto che questa esperienza la sente come sua.“
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)