Intervista Dino Risi

 

“Poveri ma belli”, “Pane, amore e…”. Basterebbero queste due pellicole per ammettere di diritto Dino Risi nell’Olimpo dei cineasti italiani. Ma la sua sterminata filmografia non si ferma qui ed il Leone d’oro alla carriera ricevuto nel 2002 al Festival di Venezia ne è la chiara testimonianza.

“E’meglio prendere i premi quando si è avanti con gli anni perché quelli sono anni che  non succede niente. La critica non è stata mai generosa con me. A quel tempo, se non avevi la “tessera” eri emarginato. Per la sinistra, poi, non si doveva far ridere, né sorridere e mi hanno riservato lo stesso trattamento che hanno dato a Pietro Germi. Le mie commedie, poi, avevano sempre un fondo amaro e il mio sorriso era pensato. Anche de “Il sorpasso” nei primi tempi, ne hanno parlato malissimo…E poi, avevo votato per i socialisti prima e per i socialdemocratici poi…”

Al suo esordio Risi confeziona una serie di pellicole legate al “neorealismo rosa”, successivamente, cogliendo le trasformazioni sociali che avvenivano nel paese, ha dato vita a quel filone che verrà etichettato poi come la “sexy-commedia all’italiana”.

“Vedo nudo” e Sesso matto” li ho girati perché a quel tempo si parlava solo di sesso. Ma ho fatto anche film molto seri. Ricordo “Fantasmi d’amore” ed “Anima persa”, un film tratto da un romanzo di Arpino, dove non ci scappava neanche una risata,. In realtà sono partito facendo film divertenti e spensierati e poi, anche per cambiare, ho girato dei film più seri.”

Con la sua voce un po’ruvida ed incartavetrata, senza perdere un colpo, ripercorre a ritroso il suo passato.

“Mi sono laureato in medicina. Poiché volevo fare lo psichiatra ho fatto il volontario nel manicomio di Vigevano ma, sei mesi dopo ho capito che non faceva per me. Poi, a quei tempi, i manicomi erano dei veri e propri lager. Abbandonata la professione, prima di girare film, ho fatto il giornalista ed ho diretto una ventina di cortometraggi. A Napoli ne ho girato uno. Doveva essere il 1948 e si chiamava “Le strade di Napoli”. Prima c’erano una serie di piccoli produttori che campavano così perché ricevevano una parte degli incassi del film cui era abbinato. Non era la Napoli dei monumenti ma quella dei vicoli, dei bassi e delle persone che si arrangiavano a campare.”

Con il suo tocco sensibile, scanzonato e garbato, ha diretto Sordi ,Tognazzi, Manfredi, Mastroianni e Gassman, con il quale lo legava un’amicizia profonda.

“Vittorio l’ho diretto in sedici pellicole. Da “Il mattatore” a “Il sorpasso”, da “I complessi” a Profumo di donna”. Con lui è nato un affetto molto particolare. Prima di morire ha fatto con me uno spot pubblicitario, ma Vittorio era più di qua che di là. Ma non dimentico di aver diretto Totò nel suo penultimo film. In “Operazione San Gennaro” interpretava un detenuto che utilizzava, in carcere, il telefono del direttore. Prima di fare il colpo Manfredi telefona a lui per avere il suo placet ma Totò gli risponde che l’autorizzazione la deve chiedere direttamente a San Gennaro.”

Nella sua lunga carriera ha diretto cinquantatre pellicole e possiede nel cassetto quasi una ventina di soggetti.

“Quello che, forse, mi dispiace più di tutti di non aver girato era uno che s’intitolava “Papin satin”, sceneggiato insieme ad Age e Scarpelli. Un giorno la Chiesa ed il Papa annunciano che si possono visitare l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso. Una troupe televisiva va sul posto e scopre che era tutto falso e che i tre Regni erano stati costruiti a Cinecittà, per opera della CIA, la Coca Cola ed il Vaticano, allo scopo di riportare alla fede quelli che se ne erano allontanati. I produttori mi dissero che costava troppo anche se io, per rassicurarli, continuavo a dire che c’era da costruire solo tre ambienti…Gassman avrebbe interpretato Dante Alighieri e ci avrebbe fatto da Cicerone. Per il ruolo di Dio avevo pensato ad un attore con una barba…”

 

Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)

 

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