Ricordati di me di Gabriele Muccino – Italia - 2003

 

Carlo Ristucci (Fabrizio Bentivoglio)  promotore finanziario ha un sogno nel cassetto; diventare romanziere. Sua moglie Giulia (Laura Morante) insegna al liceo e da quando ha messo su famiglia ha dovuto rinunciare alla carriera d’attrice. La coppia ha due figli adolescenti; Paolo (Silvio Muccino) cerca inutilmente di far breccia nel cuore di una coetanea e Valentina (Nicoleta Romanoff) è disposta a tutto, pur di diventare una velina.  Carlo e Giulia sono in crisi ed i due non si cercano, non si desiderano e non si parlano più. Giulia riprende a recitare e Valentina, dopo essere stata scartata in un provino, ha prima un’avventura con Paolo (Pietro Taricone) e successivamente si lega a Stefano (Enrico Silvestrin) un giovane divo del piccolo schermo. La tensione sale quando Carlo rivede Alessia (Monica Bellucci) una sua vecchia fiamma e decide mollare lavoro e famiglia per andare a vivere con lei. Un attimo dopo che ha sbattuto la porta di casa, un’auto pirata lo travolgerà. Un finale aperto chiuderà la vicenda.

Se ne “L’ultimo bacio” Muccino aveva offerto l’affresco di una coppia in crisi, in quest’ultima pellicola il regista romano allarga il campo d’osservazione ed affonda il coltello nella crisi dell’istituzione famiglia. Scontenti, frustati ed incapace di mettere ordine  nella loro vita privata, i Ristucci, simbolo della famiglia borghese allo sbando, hanno smesso di pulsare insieme.

Incapaci di mostrare affetto, di essere l’uno il supporto per l’altro, si scambiano solo delle fugaci comunicazioni di servizio, nei corridoi della casa o mentre sono seduti davanti alla tivvù. I genitori, incapaci di fare da guida e da punto di riferimento per i propri figli hanno scelto di ripiegarsi narcisisticamente su loro stessi.

A farne le spese, i figli; ; Paolo, fragile ed insicuro, prima di telefonare alla ragazzina che gli sta strappando il cuore, deve guardarsi allo specchio e ripetersi, decine di volte, un nervoso: “Devi credere in te stesso”; Valentina,la più decisa e determinata di tutti, prima di raggiungere il suo scopo e diventare una velina televisiva, sputerà in faccia alla madre: “Non voglio vivere inutilmente come le persone che mi sono intorno”. Schiavi di gelosie e di invidie sommerse , i personaggi hanno smesso di cercarsi ed di guardarsi negli occhi, trasformando così la famiglia in una prigione  anonima e fredda  dove non circola più affetto. Dove non è più possibile confrontarsi, intercettare i bisogni dell’altro e condividere insieme  gioie e dolori. Un film dove le parole e le urla prevalgono sul silenzio e sugli sguardi, un’analisi di quei gruppi familiari che condividono lo stesso spazio fisico (le mura domestiche) ma non mentale, di quei figli che, loro malgrado, hanno imparato a fare a meno dei genitori e di quei genitori che non desiderano assumersi le proprie responsabilità. Film sul vuoto che affligge la società contemporanea e sull’irresistibile nostalgia del passato.

 

Recensione pubblicata sulla Rivista "Friendly" Numero 1 - Gennaio 2006

 

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