Carlo Ristucci (Fabrizio Bentivoglio)
promotore finanziario ha un sogno nel cassetto; diventare romanziere. Sua moglie
Giulia (Laura Morante) insegna al liceo e da quando ha messo su famiglia ha
dovuto rinunciare alla carriera d’attrice. La coppia ha due figli adolescenti;
Paolo (Silvio Muccino) cerca inutilmente di far breccia nel cuore di una
coetanea e Valentina (Nicoleta Romanoff) è disposta a tutto, pur di diventare
una velina. Carlo e Giulia sono in crisi ed i due non si cercano, non si
desiderano e non si parlano più. Giulia riprende a recitare e Valentina, dopo
essere stata scartata in un provino, ha prima un’avventura con Paolo (Pietro
Taricone) e successivamente si lega a Stefano (Enrico Silvestrin) un giovane
divo del piccolo schermo. La tensione sale quando Carlo rivede Alessia (Monica
Bellucci) una sua vecchia fiamma e decide mollare lavoro e famiglia per andare a
vivere con lei. Un attimo dopo che ha sbattuto la porta di casa, un’auto pirata
lo travolgerà. Un finale aperto chiuderà la vicenda.
Se ne “L’ultimo bacio” Muccino
aveva offerto l’affresco di una coppia in crisi, in quest’ultima pellicola il
regista romano allarga il campo d’osservazione ed affonda il coltello nella
crisi dell’istituzione famiglia. Scontenti, frustati ed incapace di mettere
ordine nella loro vita privata, i Ristucci, simbolo della famiglia
borghese allo sbando, hanno smesso di pulsare insieme.
Incapaci di mostrare affetto, di essere
l’uno il supporto per l’altro, si scambiano solo delle fugaci comunicazioni di
servizio, nei corridoi della casa o mentre sono seduti davanti alla tivvù. I
genitori, incapaci di fare da guida e da punto di riferimento per i propri figli
hanno scelto di ripiegarsi narcisisticamente su loro stessi.
A farne le spese, i figli; ; Paolo,
fragile ed insicuro, prima di telefonare alla ragazzina che gli sta strappando
il cuore, deve guardarsi allo specchio e ripetersi, decine di volte, un nervoso:
“Devi credere in te stesso”; Valentina,la più decisa e determinata di
tutti, prima di raggiungere il suo scopo e diventare una velina televisiva,
sputerà in faccia alla madre: “Non voglio vivere inutilmente come le persone
che mi sono intorno”. Schiavi di gelosie e di invidie sommerse , i
personaggi hanno smesso di cercarsi ed di guardarsi negli occhi, trasformando
così la famiglia in una prigione anonima e fredda dove non circola
più affetto. Dove non è più possibile confrontarsi, intercettare i bisogni
dell’altro e condividere insieme gioie e dolori. Un film dove le parole e
le urla prevalgono sul silenzio e sugli sguardi, un’analisi di quei gruppi
familiari che condividono lo stesso spazio fisico (le mura domestiche) ma non
mentale, di quei figli che, loro malgrado, hanno imparato a fare a meno dei
genitori e di quei genitori che non desiderano assumersi le proprie
responsabilità. Film sul vuoto che affligge la società contemporanea e
sull’irresistibile nostalgia del passato.
Recensione pubblicata sulla Rivista "Friendly" Numero 1 - Gennaio 2006