Intervista ad Andrea Renzi
Quaranta anni dopo la pubblicazione dell’omonimo romanzo di Anna Maria Ortese, “L’iguana” diventa un film. Voluto fortemente dal suo produttore Ceasare Landricina, è diretto dalla giovane Catherine Mc Gilvray (italianissima ma d’origine australiana) e sceneggiato dalla stessa regista con Bruno Roberti. Il film narra di Estrelita (Claudia Teixeira) una servetta soprannominata “iguana” che vive sulla sperduta, incontaminata e selvaggia isola di Ocana. La ragazza è vittima dei soprusi e delle violenze perpetuati ai suoi danni da tre nobili decaduti: il tormentato Hilario ed i suoi fratellastri Hipolito e Felipe. Il conte Aleardo Aleardi (Andrea Renzi), un ricco architetto italiano che viaggia per diletto per gli oceani con la sua barca a vela, approda sull’isola e resta folgorato dalla ragazza. Ma un mistero, ben presto, lo attanaglia. L’iguana” è l’incarnazione del diavolo, come credono in molti sull’isola o una povera vittima da difendere e da mettere, a tutti i costi, in salvo? Il tema dell’isola misteriosa e fuori dalle rotte dei navigatori è anch’esso un archetipo e rimanda ad un certo tipo di letteratura del genere fantasy ma, in questo film, la regista lo declina in maniera personale ed originale. Mc Gilvray, al suo esordio dietro la macchina da presa, ha alle spalle una nomination al David di Donatello 2004 per il suo cortometraggio “Aspettando il treno”, una formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia ed una frequentazione teatrale nella compagnia di Barberio Corsetti, sembra prendere come modelli i Maestri del cinema portoghese (Manuel De Oliveira e Joao Cèsar Monteiro) ed il tormentato regista cileno Raul Ruiz. Il film, una produzione a basso costo (è costato un miliardo e ottocento milioni) e distribuito dalla Revolver, in concorso all’ultimo Festival di Torino, è stato accolto favorevolmente da critica e pubblico. Andrea Renzi, dopo le convincenti interpretazioni in “Teatro di guerra” di Mario Martone, “Le fati ignoranti” di Ferzan Ozpetek e “L’uomo in più” di Paolo Sorrentino, ci racconta la genesi del film e ci regala le sue intime riflessioni sulla pellicola.
“Il film è una grandissima
sfida perché mai si era provato a portare sullo schermo un testo così complesso,
visionario e misterioso. La protagonista è un’animale parlante dall’aspetto
mutevole, che assume le sembianze di Estrelita, la giovane serva che infiamma il
cuore del protagonista. Questo bellissimo romanzo della Ortese non è altro che
una metafora del confine tra l’essere umano e razionale e le parti bestiali che
ci appartengono.
”Ho appena concluso le riprese dell’ultimo film di Gabriele Salvatores “Quo vadis, baby”. E’ la storia di una donna che lavora in un’agenzia investigatrice e che tra i mille casi di coppie da fotografare incappa in una storia familiare che riguarda il proprio passato. Nel film interpreto un commissario che darà una mano alla donna a svolgere le indagini.
L’Articolo – Redazione napoletana de
L’Unità- 2.-3-2005