Romolo Rossi

Rivista di Psichiatria

Volume 37 - N.2 Marzo- Aprile 2002

 

"Curare o curarsi? Mi pare che Ignazio Senatore segua la via maestra per ogni psichiatra: in primis, cura te ipsum.Ci sembra che egli intanto curi se stesso, animato da questa passione per il cinema che, si sente bene nel libro, lo travolge. Per questo, io credo ipotizza subito, tout court, una sorta di dreamy state, o uno stravolgimento della coscienza dell'Io (addirittura un Dammerzustande) che annulla lo spazio-tempo, fa diventare possibile l'impossibile. Perbacco! A questo punto dovremmo dire: cura, o fa ammalare? Cura, cura...viene da rispondere. In effetti, da persona coinvolta ma acuta,l'autore individua già nel primo capitolo il problema centrale, e nomina l'innominabile, o meglio ciò che la psichiatria biologica di oggi rischia di far diventare innominabile: il plot.

Ci ricordiamo tutti del fondamentale libro di Brook, intitolato appunto "Plots" (Trame é il titolo italiano), che scritto da un letterato, sembra un trattato di psichiatria, e ci informa di che grande psichiatra è Faulkner. Dunque il lavoro dello psichiatra non consisterà forse nel ricostruire la narrativa, riannodare il "fil rouge", permettere di ridare un ordine strutturale ed un Io narrante a ciò che sembra fratturato nella storia interna, e ristoricizzare ciò che non riusciva più a narrare? E chi, più del cinema, si presta a presentare trame per immagini, spazi, scene, oggetti che svaniscono (fondu, non si chiamano così), allusioni visive e illusioni percettive, a cui alla fine restituisce il racconto, il senso e il significato? Anche perché, a proposito di cinema e psicoanalisi (argomento di un ben equilibrato capitolo secondo) anche il cinema usa la tecnica del sogno: immagini, e non definizioni, colori, chiaroscuri e trasparenze, e non spiegazioni, ed anche il cinema usa la drammatizzazione, o la messa in scena, ove, e qui cinema e teatro condividono la metodologia, ogni conflitto familiare diventa un Edipo o un Oreste, e ogni conflitto politico-sociale diventa un Antigone.

E se i Greci avevano la fortuna di psicoanalizzarsi a teatro, nei grandi emiciicli, nei grandi mezzodì delle feste panatenaiche, perché non potremmo noi, visto che non abbiamo più la polis ma la metropoli, un po' più modestamente, ma sempre con lo stesso intento, psicoanalizzarci nel buio della sala cinematografica (non in casa alla televisione, per carità)? Incursioni nella famiglia nel cinema, sull'eterna dipendenza narcisistica, sui gustosi calembour allusivi (un trauma chiamato desiderio, anche se qui allude, diciamolo, al teatro e non al cinema) fino a massicce invasioni nel campo della formazione, rendono questo libro di deliziosa lettura, per non parlare del dott. Kildare, l'ideale di tutti noi...Ma, insomma, basta.

Un libro così, correte a leggerlo! Saranno due o tre ore piacevoli, ed imparerete ad usare il cinema in psichiatria. Imparerete che non è vero che, come dice il Cavalier Marino e anche alcuni sciagurati psicofisiologi, altro non sono i sogni della notte, che immagini del di false e corrotte, ma che la vita è appunto, con Shakespeare same stuffs are dreams are made of, e che noi, sempre scespirianamente, siamo dei "poor players", cosicché troviamo facilmente noi stessi, stessi, sani o matti, nel cinema. Il nostro autore riconoscerà che, a giudicare dalle associazioni che mi sono venute, il mio giudizio verso il suo libro è ottimo.

Un altro indizio positivo per il lettore é che io ho impiegato due ore e mezzo a leggere il libro, inserendoci anche il tempo di due caffè, che mi sono fatto da solo." 

 

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