Quo vadis baby di Gabriele Salvatores- Italia - 2005
I film del genere “noir”, in voga nel cinema americano intorno agli Anni Quaranta, rispettavano dei criteri stilistici molto particolari; atmosfere buie e notturne, sospese tra veglia e sonno, un protagonista, perennemente, immerso in una sensazione di “vertigine” e di spaesamento mentale, il senso ineluttabile del destino che incombeva sullo sfortunato protagonista, la perfida e bellissima donna fatale di turno che lo trascinava nel gorgo della perdizione e della follia... Dei tagli particolari delle inquadrature ed un fantastico gioco di luci e di ombre (oblique e riprese dal basso) e l'utilizzo della voce fuori campo, decretarono l’immortalità ed il successo di questo indimenticabile genere cinematografico.
Nessuno di questi elementi stilistici è presente nell’ultimo film di Salvatores, “Quo vadis baby”. Perché mai è stato già battezzato, dalla grancassa mediatica come un “noir”? Salvatores è un mago della regia, è sempre stato un cineasta coraggioso e coerente ed ha voluto sperimentare sulla propria pelle del linguaggi cinematografici nuovi e d’avanguardia. Peccato che in questo film manchi non solo la storia (seppur tratto da il romanzo di Grazia Verasani) ma soprattutto, ritmo e capacità visive. La vicenda narra di Giorgia (Angela Baraldi) un detective privato che si imbatte nelle ombre del proprio passato familiare. La trama non è avvincente e la narrazione si srotola lentamente, fino ad un banale finale. Fatta salva la splendida colonna sonora (PFM, I ribelli, I Corvi, Talking Heads, Ultravox,….) e le convincenti prove di Anglela Baraldi e di Andrea Renzi, quello che sorprende del film è l’eccessivo (ed esplicito) gioco di citazioni cinematografiche; Ultimo tango a Parigi (da cui è tratto il titolo) I pugni in tasca, Blow up, Accattone, Jules et Jim; Querelle, M, il Mostro di Dusseldorf. Ma Salvatores è un genio e nel film non mancano qua e là momenti di rara poesia.
Recensione pubblicata su L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 01-06-2005