Oggi - 22 Ottobre 2003
"Quelli che si
sentono addosso tutte le malattie di questo mondo."
di Edoardo Rosati
«Il malato più incurabile è quello
immaginario!». Parola del giornalista e scrittore di successo Roberto Gervaso,
il più celebre ipocondriaco dello Stivale. Ipo... che? Ipocondriaco. Ovvero: ipo,
che significa «sotto», e chondros, parola greca che vuol dire «cartilagine». In
buona sostanza: tutto ciò che sta immediatamente sotto la cartilagine dello
sterno e delle arcate costali. E sarebbe? Semplice: l'addome. Nel loro «medichese»,
i camici bianchi chiamano ipocondrio destro la zona addominale occupata
interamente dal fegato,e ipocondrio sinistro l'area che corrisponde alla milza,
al colon, alle anse del piccolo intestino... Insomma, di organi interni qui si
sta parlando. E la preoccupazione per la loro salute può diventare un'idea
ossessiva. Un tarlo devastante che avvelena la vita. «Ecco che cos'è
l'ipocondria: un'ingiustificata ansia, una cronica apprensione per le proprie
condizioni corporee», dice il dottor Ignazio Senatore, dell'Area funzionale di
psichiatria all'Università di medicina «Federico II» di Napoli. «L'ipocondriaco
per eccellenza è chi è straconvinto di essere ammalato. E si comporta di
conseguenza: il medico non cava un ragno dal buco, ma lui sostiene di sentirsi
addosso una sfilza infinita di disturbi, effettua esami diagnostici in
continuazione e per "curarsi" ricorre a un consumo esagerato (e pericoloso) di
medicinali, soprattutto da banco». Ma l'ipocondria affiora e tocca la nostra
esistenza con tante sfumature. C'è chi diventa un fan della salute seguendo con
genuina passione talk-show e giornali dedicati ai temi della medicina. Talora,
l'attenzione ansiosa per il benessere può anche portare qualcuno a scegliere una
professione sanitaria. E poi c'è lui, Argan, il malato immaginario di Molière,
il quale con forza rifiuta l'idea che la vita possa essere una realtà afflitta
dai mali fisici. E, allora, il suo credo è: meglio temere di essere ammalati,
piuttosto che accettare, definitivamente, di esserlo! Un sistema, forse, per
«vaccinarsi» contro il senso della fine.
«Ma è una strada perversa: molte persone temono a tal punto le malattie da non
riuscire più a vivere». Un caso esemplare? Quello della ragazza alla ricerca
paranoica del cibo sanissimo. E che per timore della «mucca pazza» finisce per
rifiutare qualsiasi alimento. Sfociando alla fine nella più nera anoressia. La
ferrea volontà di mangiare solo piatti curativi è un'altra faccia
dell'ipocondria. Si chiama «ortoressia», questo atteggiamento all'insegna del
salutismo estremo (dal greco orto, cioè «sano, giusto», e orexis, «appetito»).
Un vizio, un disturbo del comportamento alimentare che in futuro potrebbe
assumere preoccupanti dimensioni, temono gli psichiatri. «Attenzione: il
concetto di salvaguardare a tavola la propria salute è correttissimo. Ma ben
altra faccenda sono i fondamentalismi, i comportamenti intransigenti e
ossessivi, che sanno solo procurarci ansia e stati depressivi», commenta il
dottor Senatore.
Se a chiunque di noi i peperoni solleticano il palato all'idea di gustarli
sott'olio, ai superpatiti del mangiar sano quell'ortaggio alletta perché,
consumato crudo, è un prezioso scrigno di vitamina C. Punto e basta. A costoro
la preparazione del cibo, la «veste» del piatto, il gusto di ciò che si mangia
non interessano affatto. Conta unicamente la qualità, la carta d'identità
dell'alimento. Sapere, per esempio, che ingurgitando un tot di albicocche
significa garantirsi una generosa dose di potassio e carotene. Questi
ipocondriaci della tavola conoscono a menadito tutte le etichette dei prodotti
in vendita al supermercato, sciorinando con disinvoltura quanti carboidrati,
proteine e grassi saturi contiene quel certo alimento.
«E da qui ad adottare un regime dietetico severissimo, punitivo quasi, per
"sentirsi puliti dentro", il passo è breve», commenta Senatore. Sì: l'ipocondria
è il frutto malato dell'irragionevole desiderio d'essere immortali. «Logico»,
allora, che questa condotta eccessiva nel tentativo di allontanare i guasti del
corpo finisca per abbracciare tutti i campi che hanno che fare con lo «starbene»:l'alimentazione,
il fitness, l'igiene, le pratiche di rilassamento,la conoscenza dei farmaci «Gli
ipocondriaci, in fatto di medicinali, ne sanno a momenti più di noi medici»,
sottolinea con un sorriso Senatore: «parlano di effetti collaterali, posologie,
controindicazioni e interazioni con una dimestichezza invidiabile. Invidiabile
ma sofferta. Che la dice lunga sull'insicurezza cronica, sulle paure immotivate
che divorano questi individui». L'ipocondria (che, riportano le statistiche,
interessa il 3-14 per cento della popolazione) può a tal punto tracimare da
costringere persino a letto la persona. Che finisce per adottare uno stile di
vita quasi da invalido. Il fatto è che loro, gli ipocondriaci, i malesseri li
accusano «sul serio». «Questi pazienti peregrinano da un ambulatorio all'altro
con un corposo dossier sotto il braccio: è la raccolta impressionante dei
referti accumulati. Chili di carta e di radiogrammi! Interpellati sul loro stato
di salute, forniscono risposte interminabili. La cui morale è: delusione.
Delusione per le cure, assolutamente inadeguate, ricevute fino a quel momento».
Continua Senatore: «I disturbi che di solito lamentano sono molteplici e
coinvolgono diversi organi e apparati. "Soggettivamente" risultano autentici,
nel senso che il paziente li avverte veramente, però il medico, con tutti gli
esami di questo mondo, non riesce a evidenziare un bel nulla». E questo responso
negativo complica ulteriormente le cose. «Mi scusi, dottore, ma io so di
soffrire di una grave malattia che anche lei, evidentemente, non è riuscito a
diagnosticare. E che certamente non è in grado di sfatare con i suoi dati di
laboratorio...». Suona più o meno così la replica dell'ipocondriaco al povero
curante che cerca invece di rassicurarlo, di fronte a tutta una serie di
inoppugnabili valutazioni cliniche. L'ipocondria è fondamentalmente uno dei
volti dell'Ansia: proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se
potremmo sentirci tranquilli e rilassati. In questo c'è pure lo zampino della
predisposizione genetica: i parenti di primo grado di chi soffre di qualche
fobia hanno un'elevata probabilità di sviluppare lo stesso tipo di problema. E
si sa pure che negli ipocondriaci la percezione del dolore può risultare più
spiccata della norma, cosicché una blanda «pesantezza di stomaco» si traduce in
un'intollerabile sensazione dolorosa. Ogni minimo sintomo, anche se
insignificante,viene amplificato all'ennesima potenza. Ma quale terapia può mai
esserci per queste persone che caratterialmente tendono a rinnegare ogni
terapia? «Non è per niente facile il compito del medico e di noi psichiatri. Qui
bisogna capire che la cura non deve puntare a sanare questo o quel sintomo. Che
in pratica non c'è. Il vero trattamento, quello che gli ipocondriaci cercano
davvero, è un orecchio che ascolti le loro lamentele, perché quella loro
condizione è in fondo solo "mal di vivere"». Senatore dice in definitiva che
l'orecchio del dottore non va appoggiato sul dorso dell'ipocondriaco per spiare
la salute dei polmoni, e nemmeno la sua mano deve correre al ricettario per
liquidare il paziente con «ricostituenti» e integratori (perché... «la colpa, mi
creda, è tutta dello stress!»). In realtà, occorre che l'uno presti ascolto e
l'altra si posi sulla spalla del malato. «La sola strada capace di placare
questa attenzione eccessiva verso le malattie è propria una buona relazione
medico-paziente. Dobbiamo abbracciarle, queste persone», rimarca Senatore, «far
percepire un autentico sentimento di solidarietà umana, perché quasi sempre sono
individui soli. E con quei "disturbi immaginari" ci lanciano a modo loro un
tragico S.O.S».Gli psicofarmaci? «Possono servire a contenere l'ansia o a
contrastare uno stato depressivo associato. Ma ribadisco: una calda parola è
assai più benefica di un freddo medicinale». Recita un aforisma: «La medicina
dovrebbe essere praticata come una forma di amicizia!"