Certi bambini di Andrea e Antonio Frazzi – Italia – 2004 – Durata 94’

 

Certi bambini il film diretto dai fratelli Andrea e Antonio Frazzi, non ti da scampo. Appuntito, ruvido, abrasivo, ti insegue, ti bracca e ti toglie il respiro. Niente Salvatores  di Io non ho paura, niente spighe dorate, niente ragazzi che corrono felici nei campi di grano. I rumori di fondo, i clacson delle auto, l’accento dei giovani protagonisti, ci fanno immediatamente comprendere dove è ambientata la storia. Napoli; una strada a doppio scorrimento. Le automobili sfrecciano veloci e quattro “scugnizzi” sonno sul ciglio della strada. Uno di essi lancia la sfida: attraversare la corsia, di corsa, senza curarsi delle auto che sopraggiungono. Come dei ciechi. Un lampo. Il primo si lancia in strada; le auto frenano, deragliano ed è tutto uno stridore di freni…Ci prova il secondo e poi il terzo...Neanche un graffio. Nulla. Scampati al pericolo, i ragazzi se ne vanno "liberi e felici" in riva al mare. C’è già tutto in queste prime scene. Più che lo sprezzo del pericolo quello che colpisce è il loro disincanto. Vivere o morire per loro non ha già più senso. Precocemente adultizzati e già corrosi dal tempo, hanno già imparato a non chiedere nulla al mondo. A Rosario (Gianluca Di Gennaro) ed al gruppo dei pari non resta che lottare contro la vita e sfidarla in una battaglia perpetua, eterna e senza sosta. Piegati alle regole fissate dai “grandi”, questi ragazzi spavaldi, irriverenti, chiassosi, sono i componenti di una delle tante baby-gang che operano in città. Le loro specialità? Furti e prostituzione minorile. Non c’è disperazione in loro, né una lacrima spunta dai loro occhi quando sono schiaffeggiati e picchiati selvaggiamente dagli adulti di turno. A Rosario (il leader del gruppo) non resta che rifugiarsi nel mondo della fantasia e dell’amore. Caterina, una ventenne che lavora in una Centro d’accoglienza (Miriam Candurro) popola i suoi desideri e nutre il suo immaginario. La vicenda si tingerà di toni drammatici nel finale e quel filo che legava Rosario alla vita, inevitabilmente si spezzerà.

Film asciutto che si muove lungo le traiettorie già tracciate nel 91 da Vito e gli altri. Come nel capolavoro di Antonio Capuano non c’è spazio per la retorica, né per il facile pietismo. Non a caso le scene sono girate tutte in pieno giorno, quasi a negare a questi bambini anche lo spazio mentale notturno, popolato  dalle fantasticherie e dai sogni. Il linguaggio, scurrile e senza fronzoli, sottolinea come la distanza emotiva tra il mondo dei giovani adolescenti e quelli degli adulti si sia ridotta al minimo. A questi ragazzi, cui è stato negato anche lo spazio dei desideri, non resta che imitare stancamente il mondo degli adulti e riproporlo goffamente. La sessualità, mimata dai giovani protagonisti non è che il tragico risvolto di un'emotività ormai silente e ridotta a mero simulacro. Lontano dai finti luccichii delle pubblicità televisive, il film ripropone con forza la desolazione di chi ha una famiglia scompaginata alle spalle e nessun modello adulto positivo da imitare. Pellicola sincera ed autarcicha (è girata a basso costo) colpisce per il suo taglio visivo (il montaggio è a tratti rapido e a scatti e si avvale di un lungo flash-back su cui si inserisce lo svolgersi della vicenda) e per la sua scrittura scarna ed essenziale. Mancano però dei colpi di coda e la narrazione sembra adagiarsi su un percorso narrativo spesso prevedibile, ripetitivo e privo di accelerazioni. Ma al di là delle cifre stilistiche quello che colpisce maggiormente è l’assoluta solitudine che attanaglia questi giovani protagonisti. Non siamo dalle parti di Sciuscià, di Ladri di biciclette e degli altri film del neorealismo italiano che vedevano i bambini come protagonisti, né si respira quel clima di certi film sudamericani disperati e disperanti come Pixote. A differenza dell’ingenuo Non è giusto. film di Antonietta De Lillo, girato a Napoli nel 2001 (anch’esso incentrato sulle problematiche infantili) questo film mette in scena dei ragazzi abbandonati, attanagliati da una fame che non è di cibo ma di affetti. Nel film non ci sono figure familiari che nutrono e contengono emotivamente questi gangster in erba. Rosario vive da solo con una nonna anziana ed indementita (una mirabile Nuccia Fumo) ed in tutta la trama non c’è alcun riferimento ai genitori ed ai suoi parenti. Assenti gli insegnanti, gli operatori per l’infanzia e gli assistenti sociali e tutte quelle figure che dovrebbero restituire a questi ragazzi un minimo d’affetto e di calore umano. Ma quello che  particolarmente colpisce in questa pellicola, non è solo il vuoto affettivo nei quali sono immersi i giovani protagonisti, ma la consapevolezza che nessuno potrà mai liberarli dalla loro schiavitù. Non c’è per fortuna il minimo ammiccamento per il mondo “dorato” dei camorristi e siamo mille miglia distanti da Bronks di Robert De Niro, da C’era una volta l’America di Sergio Leone e dalle tante pellicole hollywoodiane che hanno reso sfavillanti le baby gang dello schermo. Girato spesso in metropolitana o in Circumvesuviana, Certi ragazzi  è un film sotterraneo, metafora ulteriore delle emozioni e degli affetti di questi ragazzi che non potranno mai venire a galla. Se è vero che Truffaut diceva che la maggioranza dei film è fatta di film "con" bambini e non "sui" bambini, questo film, generoso ma irrisolto ed imperfetto, si pone nel mezzo e ripropone l'annosa difficoltà che hanno gli adulti nel poter cogliere le infinite sfumature dell'universo infantile. Arricchito da un ottima colonna sonora (Almamegretta) il film è tratto dal romanzo di Diego de Silva edito da Einaudi nel 2001.

 

dalla Rivista Psicobiettivo Gennaio- Aprile 2006 (Franco Angeli)

 

 

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