Pink
Subaru
Che dire
di un film, a basso costo, diretto da un regista giapponese ed
ambientato tra Israele e la Palestina?
Ogawa Kazuya impagina una trama che strizza l’occhio alla
commedia, depura la narrazione da qualsiasi riferimento alla vile, aggressiva ed
imperialista politica israeliana contro il fiero e dignitoso popolo palestinese
e si limita a narrare la vicenda di Elzober (Akram
Telawe), cuoco di mezz’età in un sushi bar di Tel Aviv che, con i
risparmi di una vita, riesce a coronare il sogno della sua vita; comprare una
Subaru Legacy, nera metallizzata. Felice e raggiante, dopo aver festeggiato
l’evento con amici, parenti e la sorella, prossima a sposarsi, ed aver
sacrificato, come da tradizione, un agnello, la mattina seguente scopre che la
sua adorata auto è stata rubata. Affranto e
desolato, mobilita familiari, conoscenti e gli abitanti di Tayibe, il
villaggio in cui vive, per ritrovarla. Il lieto fine chiuderà la vicenda.
Una trama che rimanda,
per certi aspetti, ai nostrani Il
cappotto ed all’inimitabile Ladri di
bicicletta ma che non ha né il taglio della commedia amara, né tantomeno
quello neorealistico. Il regista dissemina lungo la narrazione dei frammenti
onirici, fa entrare in campo dei personaggi surreali come Sakura, la cuoca
giapponese, collega di Elzobar e Im Subaru, una donna considerata una strega,
che monta e smonta le Subaru come fosse un passatempo per ragazzi. Una vicenda
strampalata che non rapisce ma che prova a rompere gli schemi, sempre più
seriali ed omologati, che popolano gli schermi di mezzo mondo.
Recensione
pubblicata su Segno Cinema – N. 177 - 2012
Torna alla
Homepage »