Intervista a Silvio Orlando

 

L’anno scorso Silvio Orlando trionfò alla Mostra del Cinema di Venezia come migliore attore con il poetico e struggente “Il papà di Giovanna” di Pupi Avati. Quest’anno, il versatile attore napoletano, ci riprova e nel film “La passione” di Carlo Mazzacurati, vestendo i panni di Gianni Dubois, regista cinquantenne, in piena crisi creativa. Una perdita d’acqua del suo appartamento danneggia un affresco del 600 ed allora, per riparare al torto, è costretto dal sindaco di un paesino della Toscana, a dirigere una compagnia di non-attori, capitanati da Cristiana Capotondi, Kasia Smutniak, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Marco Messeri e Stefania Sandrelli.

Sprizza gioia da tutti i pori Silvio Orlando e così esordisce:

 

“Era il film che aspettavo da sempre. E’ una commedia grottesca a cui tengo molto. La trama è semplice. Succede sempre che, in un paese di provincia, il carrozziere, il sindaco, l’assessore e gli altri abitanti partecipino tutti insieme ad una sacra rappresentazione del venerdì santo ed io, mio malgrado, mi trovo coinvolto in questa vicenda. "

 

Con Mazzacurati, regista padovano schivo e riservato, aveva già lavorato in “Un’altra vita” ed in Vesna va veloce”.

 

“Erano entrambi due film dai toni completamente diversi. In Vesna avevo un ruolo più piccolo, in “Un’altra vita”, Mazzacurati componeva un affresco tragico della mutazione antropologica dell’Italia di quegli anni. Ne “La passione” il taglio è strettamente comico e Carlo ci regala un ritrattino dell’Italia di oggi, un macrocosmo dal quale emerge la piccola corruzione quotidiana, l’ansia d’apparire, la cialtronaggine e la spregiudicatezza. Il danno che Dubois fa a quella piccola opera d’arte del 600 finisce, infatti, sullo sfondo. Alla fine però, Dubois, si libera dal blocco creativo e, mettendosi in sintonia con il luogo dove aveva girato il film, recupera il rapporto con la terra e con le radici, quello che i latini chiamavano “genius loci”, e ritorna a fare una “cosa bella.” L’epilogo? Sarà commovente e toccante.”

Una vicenda che, per certi versi, sembra paragonabile alla trasformazione che avviene al protagonista ne “Il regista di matrimoni” di Bellocchio?

 

“Bellocchio e Mazzacurati sono dei registi completamente diversi tra loro. Bellocchio è più terreo, visionario, tagliente, spietato. Carlo è più poetico, accondiscendente con i suoi personaggi, mostra verso di loro maggiore pietà e cerca di comprendere le ragioni delle persone. E poi lui ama raccontare sia le vicende di quelli che ce l’hanno fatta che di quelli che non ce la stanno facendo.”

 

Ne “Il caimano” di Nanni Moretti interpretava un produttore, in questo film quello di un regista. Da attore questi ruoli che effetto le fanno?

 

“Adesso il mestiere dell’attore è fuori moda e l’attore puro non esiste più. Tutti gli attori vogliono fare altro.”.

 

E il film che doveva girare ambientato a Napoli?

 

“Quel progetto è naufragato.”

 

 

Stralcio dall’articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 4-09-2010

 

 

 

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