Intervista a Pappi Corsicato
Il suo nome è un piccolo vezzo ma, al di là delle apparenze, Pappi Corsicato è una persona dotata di grande sensibilità e di una spiazzante autoironia. Cineasta di spicco, insieme a Mario Martone, Stefano Incerti, Antonietta De Lillo e ad Antonio Capuano di quella che fu definita, impropriamente, la “scuola napoletana” ha all’attivo tre lungometraggi, un episodio nel film collettivo I vesuviani, la regia lirica della Carmen di Bizet al San Carlo, numerose installazioni di videoarte e due documentari; il primo su La casa del sorriso, ultimo film diretto da Marco Ferreri ed il secondo su Dario Argento, commissionatogli da RAISAT.
Come hai mosso i tuoi primi passi nel mondo artistico?
"Mio padre era costruttore ed io mi iscrissi alla Facoltà di Architettura per seguire quello che era una specie di mandato familiare. La mia prima passione fu la danza ma Napoli mi stava sempre più stretta al punto che iniziai a somatizzare il mio disagio con delle crisi d’asma. Partii per New York e seguii i corsi di Alvin Alley, un coloured che insegnava una danza etnica molto particolare. Iniziai anche dei corsi di recitazione ma quando vidi La legge del desiderio di Pedro Almodovar rimasi così folgorato che decisi che avrei voluto fare il regista."
Si è molto favoleggiato sul tuo incontro con Almodovar
"Lui era a Roma per ritirare il David per Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Io gli mandai un mazzo di fiori e gli scrissi due righe. Ma non volevo apparire come un suo fan e decisi di prendere una stanza nell’ albergo dove alloggiava. Ebbi così la possibilità di parlarci e poiché conoscevo tutti i suoi film fu per me facile chiedergli di fargli da assistente volontario nel film Legami!"
Quale fu la tua esperienza su quel set?
"Lì andai a mie spese. Generalmente ad un assistente alla regia gli si fa fare un po’ di tutto; da andare a prendere il caffé a buttare la spazzatura. Io ebbi la fortuna di stargli sempre accanto e di vederlo lavorare. La cosa che mi ha più colpito è la sua capacità sul set di sorprendere gli attori e di stimolare in loro una determinata reazione. Ricordo che voleva che Antonio Banderas, ad un certo punto del film, assumesse una particolare espressione ed iniziò a fare degli strani versi per indurlo a modellare come avrebbe voluto il suo volto. L’altra cosa sorprendente è che sul set Almodovar è attento ad ogni minimo dettaglio."
Nel 1993 esplodi con Libera, il tuo film d’esordio
"Avevo girato solo un episodio, il terzo, e lo avevo inviato al Festival di
Torino. La giuria lo bocciò ma io, testardamente, decisi di dirigere altri due
episodi e di farne un film che fu proiettato al Festival di Berlino. Io non
conoscevo nessuno ma la pellicola riscosse un successo clamoroso che
Qual’è la tua cifra stilistica significativa?
"Credo che sia il mio sguardo ironico, la stravaganza e la"stranezza con cui osservo il mondo. Nella mia accezione l’ironia non è il mero divertimento ma è un sentimento dubbioso e distaccato. La tendenza generale di un certo cinema è quello di fare della morale, di formulare giudizi. Io non ho le risposte ma amo mettere in scena il dubbio con uno sguardo che non è realistico e non affonda nel quotidiano."
Perché non ti sei mai avvalso del supporto di altri, in sede di sceneggiatura, ?
"Mi sento un artigiano ed al cinema mi va di proporre un linguaggio che sia mio. Ho un mio sguardo e non amo forzarmi. Mi diverto anche a pensare delle cose da solo, ad immaginare un certo tipo di musica, una particolare battuta. Per quanto puoi entrare in sintonia con un’altra persona c’è sempre la possibilità che l’altro ti suggerisca delle cose che non ti appartengono o che non combaciano con le tue. Ma a differenza delle pellicole precedenti, nel mio prossimo film, ambientato anche questa volta a Napoli, mi farò supervisionare, in sede di sceneggiatura, da Massimo Gaudioso, che mi darà una mano per quanto riguarda la struttura."
Come mai non ha i sentito il bisogno di girare una pellicola lontano da Napoli?
"Di Napoli mi piace la sua esplosione di colori e nei suoi odori mi riconosco ma non è mai folkloristica ed in Chimera, ad esempio, assumeva la dimensione di un luogo molto astratto."
Articolo pubblicato su "Il Napoli - Epolis"- 5 -05-2007