Open water" di Chris Kentis - 2004
Uragani, terremoti, animali mostruosi, minacce che vengono dallo spazio o dal profondo del mare. Intervistato da Francois Truffaut, Alfred Hitchcock, il maestro del brivido aveva svelato le motivazioni inconsce che sottendono la visione di questo genere di film. Lo spettatore è spinto ad identificarsi con le sfortunati vittime della vicenda e partecipa emotivamente al loro dramma, perchè è seduto su una comoda poltrona e sa di trovarsi in un luogo sicuro (il cinema). Non si sottrae a questa ferrea regola "Open water", opera seconda di Chris Kentis. La vicenda narra di una giovane coppia, appassionata d'immersioni subacquee, che decide di regalarsi una vacanza alle Bahamas. Ma il sogno si trasforma presto in un incubo. Partiti su un'imbarcazione con altri compagni di ventura, per un tragico scherzo del destino, Daniel (Daniel Travis) e Susan (Blanchard Ryan) vengono dimenticati in mare aperto. Ad accrescere la tensione dello spettatore, un branco di squali che fa il girotondo intorno a loro. Girata con un piglio minimalista, la pellicola mostra uno stile asciutto (?) ed essenziale. Il regista scarnifica al massimo l'intreccio narrativo e si limita, per quasi tutta la durata del film, a riprendere con la camera (quasi fissa) i due poveri naufraghi. E questo che è un limite, diventa per certi aspetti un pregio del film. Lontano dagli echi pacchiani ed urlati degli "squali" di spielbergiana-memoria, Kentis, per quasi tutta la durata del film, ci mostra i protagonisti immersi in una sorta di artefatta e surreale calma olimpica. Regalerà, solo sul finale, (finalmente) un urlo liberatorio e catartico a Daniel e nulla più. E se i dialoghi appaiono spesso fiacchi, la tensione non sale mai di livello ed i due attori protagonisti sembrano, paradossalmente, due pesci fuor d'acqua, il regista sceglie (coraggiosamente) un finale di una tragicità desolante. Film che può essere letto a più livelli. Metafora della paura degli spazi profondi (l'inconscio), della solitudine contemporanea, dell'indifferenza nella quale viviamo. Da sconsigliare a chi soffre di agorafobia. Da una storia vera, avvenuta al largo delle coste australiane nel 1998.
L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 12-9-2004