Oniria
Woody Allen nel raccontare la sua giovinezza trascorsa nei pidocchietti di Brooklyn, ci ricorda come il cinema, per intere generazioni è stato lo spazio ideale per immergersi in un mondo fatato dove i sogni diventavano realtà e la fantasia regnava sovrana.
"Vivevo a Brooklin e in quelle giornate estive calde e umide, in cui non riuscivi a muoverti e nessuno aveva niente da fare, c'erano centinaia di cinema nelle vicinanze, e potevi entrarci per venticinque centesimi. Ti lasciavi alle spalle la tua misera casa e tutti i tuoi problemi con la scuola e con la famiglia, tutte queste cose, e te ne andavi al cinema. Potevi metterti a sedere e ad assistere a due spettacoli diversi. Vedevi i pirati e ti trovavi in mezzo al mare. E poi ti trovavi in un attico a Manhattan in compagnia di gente bellissima. E nei film tutti i personaggi avevano attici, telefoni bianchi, e le donne erano adorabili e gli uomini avevano sempre pronta la battuta giusta e accadevano cose strane, ma si risolvevano sempre per il meglio, e gli eroi erano dei veri eroi, e tutto era semplicemente grandioso.”
Il cinema, sin dalla sua nascita, ha dovuto dotarsi di un proprio statuto formale e se in Francia, i fratelli Lumiere scelsero di proporre un taglio documentaristico alla loro invenzione, Georges Melies, loro contemporaneo, con i suoi trucchi (le apparizioni-sparizioni, le sovraimpressioni, il rallentato, l'accellerato) introdusse una dimensione favolistica e fantasmagorica nei film. “La fabbrica dei sogni” scelse da allora di non riprodurre fedelmente la realtà, ma inondò lo schermo con storie fantastiche che permettevano allo spettatore di regredire ad uno stato infantile. La visione del film diveniva così sempre più sovrapponibile al sogno. Nella narrazione filmica, infatti, il tempo del racconto veniva compresso e dilatato, le distanze tra luoghi lontani azzerate, le persone e gli oggetti rimpiccioliti o ingigantiti. Poi venne il tempo in cui gli animali danzavano, le streghe volavano su un manico di scopa ed i bambini diventavano adulti e gli adulti bambini…
Il buio della sala, la relativa immobilità e l’abbandono nella poltrona e l’irrealtà delle immagini contribuivano a trasportare lo spettatore in uno spazio immaginario, in un altrove dove i confini con il reale divenivano sempre più sfumati. Per Lebovici “il film suscita un'adesione empatica lontana dalla semplice passività e vicina semmai, ad un certo stato di comunione rilassata che ricorda il rapporto che il sognatore ha con il suo corpo. Lo stato di leggero stordimento con cui lo spettatore lascia il cinema è analogo al semisonno del sognatore che, rifiuta di lasciare il suo sogno e ama prolungare in una reverie i diversi episodi”. Per Musatti i sogni sono come i film; si dimenticano e si modificano nella memoria perché il tempo e lo spazio cinematografico sono diversi proprio da quelli della vita reale e se Max Beluffi parla di “rilassamento para-onirico prodotto dallo spettacolo cinematografico”, Metz parla di "un piccolo sonno, un sonno da svegli".
Nel corso della visione del film lo spettatore entra in un regime di credenza simile alla condizione di chi sogna e grazie alle feconde intuizioni dei surrealisti il materiale onirico iniziò ad avere nel cinema un proprio statuto formale. Con l'avvento del nazismo numerosi psicoanalisti (Sigmund Freud, Otto Fenichel, Georg Simmel, Theodor Reich, Sandor Rado…) trovarono asilo in America contribuendo a diffondere la psicoanalisi negli States. Contemporaneamente molti cineasti (Fritz Lang, Robert Siodmak, Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Otto Preminger…) furono costretti ad emigrare dalla Germania ed esportarono negli Studios lo stile crepuscolare, tipico dell’Espressionismo tedesco. Da questo magico melange nacque il noir, genere attraversato da un'atmosfera onirica e straniante, sospeso costantemente tra veglia e sonno ed in bilico tra sogno e realtà. Giocato tutto sui contrasti di luce e di ombra, girato prevalentemente in ambienti bui e poco illuminati, arricchito dalla voce fuori campo e dall'uso del flash-back, il noir rinviava lo spettatore ad una sorta di perpetua incertezza, di disorientamento e di perdita d’identità.
L’utilizzo massiccio dei sogni, impaginati per lo più in flash-back, all'interno del racconto, fu uno degli elementi decretò lo strepitoso successo di questo tipo di cinematografia. L’enorme diffusione di questo espediente narrativo all’interno dei film allarmò però i produttori che pretesero dai registi degli stratagemmi per segnalare allo spettatore lo scarto temporale che avveniva nel corso della narrazione. Generalmente il materiale onirico era preceduto da una dissolvenza, dall’ingresso di una musica luciferina e sinistra, da qualche movimento rotatorio della macchina da presa, da un leggero e progressivo sfuocamento dell’immagine e dal racconto del protagonista che commentava il sogno con una voce che sembrava provenire dall’al di là.
E fu proprio intorno a quegli anni che Alfred Hitchcock, nel suo indimenticabile Io ti salverò, impaginò il surreale sogno di Gregory Peck, utilizzando i bozzetti disegnati da Salvator Dalì frammentandolo con dei tagli apparentemente sconnessi e disarticolati. Prima dell’avvento del colore da segnalare due capolavori (La donna del ritratto di Fritz Lang ed Incubi notturni di Basil Dearden, Alberto Cavalcanti, Robert Hamer, Charles Crichton) strutturati in modo tale che, solo sul finale si scopre che tutta la narrazione era soltanto il frutto del sogno del protagonista.
Con la diffusione massiccia del colore, spogliato degli elementi di fascino e di mistero tipico del noir, il sogno venne inserito all’interno della trama spesso come pretesto narrativo o come mero maquillage per arricchire una storia spesso sbilenca e sfilacciata. Inserito come un frammento spurio ed estraneo alla stessa narrazione, il sogno veniva raccontato dallo stesso protagonista, con un tono freddo e distaccato. La tecnica universalmente utilizzata dai registi era quella di fare un primissimo piano sul volto del personaggio che narrava il sogno e di inserire un flash-back in bianco e nero che spezzava l’ armonia cromatica precedente.
Pur essendo territorio privilegiato dei Maestri del cinema, il materiale onirico continuava a non avere al cinema uno statuto stilistico particolare, al punto che lo stesso Ingmar Bergman, confessò:
"E' molto facile e molto difficile mostrare dei sogni al cinema. Credo che, se uno decide di filmare un sogno, e si dice: "Voglio rappresentare un sogno, voglio crearlo con la cinepresa e tutti gli altri mezzi tecnici disponibili ", non ci riuscirà mai. Ma se invece, racconta semplicemente la sua storia, questa può rivelarsi un sogno meraviglioso.”
Con questa sua affermazione il grande regista svedese sottolineava come, nonostante gli stretti legami tra cinema e sogno, paradossalmente, ogni qual volta il materiale onirico faceva la sua comparsa sullo schermo assumeva i caratteri della "finzionalità", risultando così appiattito e privato della sua stessa capacità rivoluzionaria di evocazione.
Wim Wenders, nel corso di un'intervista, a chi gli chiedeva perché nel suo film Fino alla fine del mondo avesse fatto ricorso all'uso di una nuova tecnologia, in sintonia con le affermazioni di Bergman rispose:
"Ho fatto uso dell'alta definizione perché al film occorrevano delle immagini oniriche. Avevo precedentemente visionato tutte le sequenze di sogni della storia del cinema, senza trovarne una che somigliasse veramente a un sogno: sembravano dei film."
Nonostante i ripetuti tentativi dei diversi registi e sceneggiatori, c’è da chiedersi come mai, dopo un secolo dalla nascita del cinema, pochissimi sono gli inserti onirici da cineteca. Una delle spiegazioni possibili è legata alla natura stessa del dispositivo cinematografico; in una struttura onirica come quella di un film, un sogno muore ed appassisce, perdendo la propria carica visionaria.
Dobbiamo però attendere registi anarchici e visionari come Federico Fellini, David Lynch, Marco Ferreri, David Cronenberg, Peter Greenway che proporranno una cifra stilistica così personale da rendere completamente onirici i loro film.
Esercizi di stile a parte, c’è da ricordare come ogni genere cinematografico abbia utilizzato i sogni all’interno della narrazione. In Notte senza fine diretto da Raoul Walsh nel 1947, film che Bertrand Tavernier definì “western freudiano ed onirico”, il protagonista Jeb Rand è ossessionato da un sogno ricorrente: un paio di speroni che luccicano, un uomo che imbraccia un fucile e che, colpito da una raffica di proiettili, cade a terra stecchito.
Nel genere horror Roger Corman, grazie ai filtri colorati di Floyd Crosby, impreziosì i suoi film dedicati ad Edgar Allan Poe (I vivi e morti, Il pozzo e il pendolo, I racconti del terrore, Sepolto vivo) con degli inserti onirici spettacolari. La presenza di sogni e di incubi spettacolari fu ripresa anche dai maestri del cinema inglese (Peter Sands, Roy Ward Baker, Freddie Francis) che, con le loro pellicole visionarie, contribuirono a rivitalizzare in Europa una scrittura filmica troppo appiattita ai canoni del realismo. L’horror, il thriller, al giallo e tutti quei film ad alto tasso adrenalinico hanno rappresentato, con rara sapienza, lo stato d’ansia di chi, durante la notte, assalito da un incubo si ritrova sveglio, con il cuore a mille, la fronte perlata dal sudore, le mani tremanti e lo sguardo sbarrato nel buio. L'incubo di Janeth Lind, diretto da Freddie Francis nel 1964 si apre, non a caso, con un incubo che assale Janeth Freeman la giovane protagonista, una ragazza fragile ed ossessionata dall’idea di impazzire e di essere rinchiusa in manicomio come la madre. Nel corso del film, sospeso tra sogno e realtà, la stessa Janeth si chiederà:
“Ho fatto un sogno o almeno credo che fosse un sogno. Quella donna stava qui. Mi stava fissando poi si è voltata ed è andata verso la porta. Non camminava, sembrava che galleggiasse. Quando è arrivata ala porta, mi ha guardato e mi ha fatto cenno di seguirla ma quando sono andata nel corridoio era sparita. La stavo cercando. Dov’è che il sogno finisce e la realtà comincia?”
Restando in tema di B- movie, c’è da sottolineare come al pari delle produzioni inglesi e d’oltreoceano, il tanto vituperato cinema basso, made in Italy, prodotto negli Anni Settanta e Ottanta, abbia inondato di tanto materiale onirico lo schermo, al punto da divenire oggetto di approfondimento del mio prossimo volume in corso di stampa.
Se analizziamo questi film scopriamo che i sogni compaiano in film erotici (Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile, Valeria dentro e fuori di Brunello Rondi, Emmanuelle nera 2 di Adalberto Albertini)) nei gialli (Lo strano vizio della signora Wardh e Tutti i colori del buio di Sergio Martino, Il profumo della signora in nero di Francesco Barilli, Le orme di Luigi Buzzoni, La casa del tappeto giallo di Carlo Lizzani, La strana storia di Olga O. di Antonio Bonifacio) negli horror (L'orribile segreto del dr. Hichcock di Riccardo Freda, Il rosso segno della follia di Mario Bava, La notte che Evelyn uscì dalla tomba di Emilio Miraglia, L’Anticristo di Alberto De Martino, La cripta e l’incubo di Camillo Mastrocinque) e in quelli fantasy (Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri ). A sostegno della mia tesi desidero citare un B-movie Una lucertola con la pelle di donna, diretto da Lucio Fulci nel 1971, la cui trama si dipana da un sogno della protagonista. Carole racconta al suo analista di aver sognato di essere in un vagone di un treno, affollato di gente e cerca, disperatamente, di raggiungere l’uscita. Mentre lo attraversa la scena muta di colpo e lei si trova a percorrere un lunghissimo corridoio, popolato da uomini e da donne nude. Dopo essere precipitata nel vuoto, si trova nella stanza da letto di Julia e fa l’amore con lei. Il dottore la rassicura, dicendole:
“Per il suo subcosciente era il corridoio della casa accanto. Le è già capitato tante altre volte di sognarlo, sempre eguale, affollato di gente completamente nuda. Ad un tratto precipita dal nulla e trova una persona, sempre la stessa persona che sembra aspettarla, Julia la sua vicina. Con questa signora che abita nell’appartamento accanto al suo lei sogna di avere dei rapporti intimi che lei non accetterebbe mai nella vita reale. Infatti, quelle donna, ai suoi occhi, rappresenta il vizio, la degradazione, La sua coscienza la costringe a disapprovare il modo di vivere di quella donna ma, nello stesso tempo, la sua libertà la incuriosisce. All’origine del suo sogno ricorrente c’è proprio questo conflitto. La situazione di freddezza e di indifferenza sessuale tra lei e suo marito, lo aggrava, lo distorce al punto che, in modo inconscio, lei si sente attratta dalla vita libera di Julia.”
Il successivo sogno/incubo della protagonista sarà la chiave di volta del misterioso delitto. In un’atmosfera malsana e orrifica, Carole sogna il marito, il padre, la figliastra barbaramente trafitti da un paio di pugnalate all’addome, un grande cigno bianco che sorvola i prati, Julia che urla a squarciagola, prima di essere trafitta ripetutamente da un affilato tagliacarte e due hippy che assistono, compiaciuti, al delitto. Anche questa volta, il dottore interpreta il suo sogno in seduta:
“Lei ha ucciso Julia e cioè, con quella donna lei ha ucciso quella parte di sé che sentiva attratta dalla degradazione e dal vizio. Il conflitto che era in lei si è risolto così con un atto violento. Un sogno liberatorio, come dimostra anche la visione macabra che è composta dalle persone con le quali convive. Direi che anche l’apparizione nel sogno della sua figliastra, dalla quale lei non si sente amata, ha uno specifico significato di liberazione. Quel giovane hippy con i capelli rossi e la sua ragazza, testimoni creati dal suo Io. Lei ha voluto che assistessero al suo delitto e la loro presenza le ha impedito di raccogliere la sua pelliccia , il tagliacarte e questo è bene. Lei è stata costretta a lasciare delle prove. E’ la rimozione di un blocco e successivamente darà buoni risultati.”
Tralasciando la validità delle interpretazioni dell’analista, forse, la migliore modalità per concludere questo piccolo excursus sui rapporti tra cinema e sogno è quello di prendere a prestito la frase che compare nei titoli di testa di Passi nella notte, film diretto da William Castle nel 1964.
“Che cosa sono i sogni? Che cosa significano? Che cosa sappiamo del misterioso mondo che visitiamo durante il sonno? Strane figure, strani volti, creature che popolano i nostri incubi. Talvolta noi osserviamo loro, talvolta loro osservano noi. I sogni predicono, forse, il futuro? L’uomo ha sempre cercato di interpretare l linguaggio dei sogni. Un tempo c’erano gli indovini e gli auguri, oggi abbiamo gli psicologi. Ma i sogni sono sempre gli stessi, pieni di significato, di minacce e di misteri. Quando dormiamo, vaghiamo in un altro mondo, dove tutto è assurdo e agghiacciante.”
dalla Rivista "Eidos- Cinema, Psiche ed arti visive" Numero 4