Nelle tue mani
di Peter Del Monte con Kasia Smutniak, Marco Foschi, Luisa De Santis, Severino Saltarelli, Luciano Bartoli, Riccardo Francia, Alba Rohrwacher - Italia – 2007 – Durata 100’
Mavi (Kasia Smutniak) sbarca il lunario lavorando come commessa in un negozio
di scarpe e di notte come cameriera in un pub. Un giorno investe con la propria
auto Teo (Marco Foschi) un giovane studente universitario di astrofisica che ha
attraversato la strada distrattamente; dopo averlo accompagnato in ospedale, per
mitigare i sensi di colpa, gli promette che durante la degenza tornerà a fargli
visita. Teo l’aspetta invano e non appena si riprende, pianta la fidanzata (Alba
Rohrwacher) si mette sulle sue tracce, le fa gli occhi dolci e la sposa. Nasce
Caterina ma Teo inizia a viaggiare per lavoro; Mavi non regge il distacco, sta
male, litiga, ha sbalzi d’umore e sprofonda sempre più nell’apatia e nella
depressione. Nel finale un pizzico di speranza sembra illuminare la vita dei
giovani protagonisti. Cineasta raffinato ed elegante, Del Monte ha fatto
sempre scuola a sé e, dopo otto anni di assenza dal grande schermo, dopo il
sussurrato e dolente Controvento, impagina un’altra storia sospesa e
diseguale, declinata completamente al femminile. Sin dalle prime battute il
controllato e razionale Teo gironzola intorno a Mavi che, senza troppi fronzoli,
nel metterlo in guardia, gli confida: “Lascia stare, io sono un casino”.
Fragile ed insicura, Mavi s’aggira sullo schermo alla disperata ricerca di
qualcuno che si prenda cura di lei e, come un disco rotto al suo Teo, ripete:
“A me non va quando uno parte. A me non va di aspettare”. Lui è tenero,
l’ama, prova prendersi cura di lei ma non ha compreso che lei non tollera gli
abbandoni e quando è da sola le manca l’aria, si disunisce, si scompone e sente
il terreno franarle sotto i piedi. Per tutto il film Mavi si muove sulla scena
come un’animale ferito e, lasciandosi guidare dal proprio istinto primitivo e
selvaggio, non riesce a fare i conti con la realtà. Del Monte dosa perfettamente
la narrazione, arricchendola con delle scene nervose e convulse, cariche di
poesia. Teo è fuori per lavoro ed il telefono di casa non funziona; Mavi va in
tilt e, travolta dall’irrefrenabile bisogno di parlare con lui, si fionda in una
cabina telefonica lasciando la piccola Caterina da sola nell’appartamento. Nella
fretta dimentica però le chiavi di casa e per poter rientrare nell’abitazione è
costretta a chiamare gli operai e colleziona una denuncia per abbandono di
minori. In una scena successiva Mavi va di notte sotto casa di Teo e dopo aver
lanciato dei sassi in direzione del suo balcone, gli urla a squarciagola che
rivuole la bambina; Teo scende in un lampo, prova a calmarla ma lei, non
l’ascolta e senza pensarci due volte, lo ferisce all’addome con dei cocci di una
bottiglia di vetro. Come Mabel di Una moglie di Cassavetes, Eugenia de
La storia di Piera, Grazia di Respiro di Crialese e Giulia de La
guerra di Mario di Antonio Capuano, anche Mavi, asimmetrica, imperfetta è
incapace di mettere dei legacci alla propria impulsiva istintività e finisce per
pagare le proprie contraddizioni in prima persona e sulla propria pelle. Per
ammazzare la solitudine e la noia, tradisce Teo con un commesso del negozio ma
perde la bambina che crescerà fino a cinque anni a casa della madre (Luisa De
Santis) e del padre (Severino Saltarelli) di Teo. Successivamente rimane incinta
di Dario (Riccardo Francia) un ragazzo timido ed impacciato e, messo al mondo
Giacomo, crolla, si spoglia per strada e tenta il suicidio. Del Monte non cade
nella trappola di indicare da che parte sono i buoni ed i cattivi, non giudica,
non condanna e soprattutto non vuole narrarci l’ennesima storia sui folli
randagi e disadattati che incutono pietà e compassione nello spettatore ma la
sofferta vicenda di una donna che è viva e pulsante e che è stata (forse)
abusata da piccola dal padre (Luciano Bartoli) ed è totalmente priva di una
figura genitoriale femminile di riferimento. Teo, nelle prime battute del film,
prova a trasmetterle la propria passione per una professione che lo espone
quotidianamente all’inconoscibile ma lei, con lo sguardo ferito, taglia secco e
gli dice: “Per me l’ignoto meno c’è e meglio è.” Il film sembra perdere
quota quando entra in campo un frastornato e legnoso Marco Foschi ma si ravviva
e s’infiamma ogni qual volta compare la dispersa e smarrita protagonista. Del
Monte è un maestro nello scavare impietosamente nel suo volto intenso e
traboccante di sofferenza; Smutniak ti esplode dentro non solo per la sua ruvida
bellezza ma soprattutto per la sua capacità di dare corpo ad un dolore profondo,
cupo e senza nome. Il finale consolatorio non fa a cazzotti con il resto del
film ed è sincero, tenero e commovente. Un plauso alla Blue Film, ala Cocacolor
ed all’111 marzo che lo ha prodotto senza il contributo della Rai e dello Stato
e che
Recensione pubblicata su Segno Cinema - Numero 152 - Luglio - Agosto 2008