Napoli, Napoli, Napoli di Abel Ferrara
Al recente Festival della Mostra del Cinema di Venezia ha ottenuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico e della critica all’ultimo l’attesissimo docu-film “Napoli, Napoli, Napoli”, diretto dal geniale e ribelle regista newyorkese Abel Ferrara, autore di film “maledetti” come “The addiction”, “Il cattivo tenente”, “Fratelli”, “Blackout” e “New Rose Hotel”.
“Ho conosciuto Abel grazie a Tony D’Angelo, il figlio di Nino. Ho iniziato a raccontargli la mia vita, le mie esperienze di strada, il mio passato in carcere, il mio riscatto umano e sociale, i passi che mi hanno portato alla creazione dell’Associazione “Il figli del Bronx” e le mie battaglie sociali per il recupero degli ex detenuti.” Chi parla è Gaetano Di Vaio, animatore culturale ed ideatore di “Filmando Nisida”, la fortunata rassegna cinematografica che ogni anno mette a confronto registi ed attori con i detenuti del Carcere Minorile di Nisida.
“Tra me ed Abel, confida Gaetano Di Vaio, è nato subito un legame molto forte. In segno della sua amicizia, lui mi ha invitato a Cannes dove aveva presentato il suo “Go, go Tales”. Abbiamo, in seguito, continuato a parlare del progetto del film fino a che Abel non ha deciso di vivere per un periodo a Napoli. L’ho portato in giro per la città ed insieme abbiamo penetrato le viscere della città, incontrando facce, volti e persone, ascoltando le storie di chi viveva nei quartieri più popolari ed a rischio.”
Il cuore del docu-film è nelle interviste che il regista newyorkese ha realizzato con le recluse nel carcere femminile di Pozzuoli.
“Durante la lavorazione del docu-film, Abel ci ha sempre ripetuto che “La civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri”. Per lui le donne sono portatrici di vita ed hanno la capacità di penetrare maggiormente la città. Le storie che le detenute gli hanno raccontato sono toccanti, disperate e restituite al pubblico senza alcun filtro.”
C’è chi, tra gli addetti ai lavori, ha storto il naso per il titolo del documentario, ritenuto un po’ troppo banale ed assolutamente privo di fantasia. Di Vaio difende questa scelta e ne svela i motivi: “Il titolo è emblematico e vuole sottolineare come le diverse Napoli non comunicano tra loro. Non c’è interazione, infatti, tra i diversi quartieri della città, tra Posillipo ed i Quartieri Spagnoli, tra il Vomero e Scampia. La ripetizione presente nel titolo è poi anche un rafforzativo. L’idea del docu-film, in verità, parte già dal 2007. Il primo progetto era nato con il titolo “Il proprio vissuto”e doveva coinvolgere, in fase di sceneggiatura gli stessi detenuti e doveva essere diretto non solo da Abel Ferrara ma anche da Mario Martone, Tony D’Angelo e da Diego Olivares. Quel progetto iniziale è stato accantonato ma è andato avanti, fedele nell’anima e nello spirito. Ad Abel ho poi presentato poi Peppe Lanzetta, Mariagrazia Capaldo e Maurizio Braucci, uno degli sceneggiatori del film “Gomorra” di Matteo Garrone che hanno scritto delle storie di pura fiction che hanno arricchito il docu-film.”
Conoscendo lo sguardo del regista newyorkese non c’è da meravigliarsi che lo stile adottato sia orientato ad un realismo “sporco”, livido e graffiante. Ma come ci confida, a sorpresa, Di Vaio: “Le location del film non le abbiamo girato nel Carcere di Pozzuoli ma nell’OPG di Aversa”.
Montato da Fabio Nunziata e con Alessandro Abate come direttore della fotografia, al fianco di attori non professionisti nel cast c’è da segnalare la partecipazione di Ernesto Mahieux, indimenticabile protagonista de “L’imbalsamatore” di Matteo Garrone e dello stesso Peppe Lanzetta.
Il progetto è dei
“Figli del Bronx” ed è stato prodotto dal giovane produttore Napoletano Luca
Liguori, dallo stesso Gaetano Di Vaio, da Gianluca Curti per