Intervista Silvio Muccino

 

Dopo i cine-panettoni di Natale, da un paio di anni il cinema italiano ci ha abituato a sfornare il San Valentino-movie. Ricordati di me di Gabriele Muccino è del 2003, Notte prima degli esami di Fausto Brizzi del 2006 ed è appena uscito nelle sale Parlami d’amore di Silvio Muccino.

Spigliato, sorridente e sicuro di sé, con una discreta cultura cinefilica alle spalle, il giovane regista è emozionato per il suo debutto dietro la macchina da presa. Uscito in pompa magna in tutt’Italia, il film racconta la vicenda di Sasha, interpretato dallo stesso regista, un venticinquenne fragile e tormentato, nato in una comunità di tossicodipendenti che incontra Benedetta, una fulgida Carolina Crescentini e s’innamora poi di Nicole, un’affascinante quarantenne. La pellicola è un melange di lacrime e di sospiri, è spruzzato da qualche velata scena di sesso, vira un po’ nel sentimentale ma sprizza energia e sincerità da tutti i pori.

Il film non è la classica commedia giovanilistica sull’amore. Perché è uscito nelle sale proprio il 14 febbraio?

 

"Io non dimentico il mio pubblico e questo film è stato per me l’occasione per mettersi in gioco, espormi e correre dei rischi. Questo film esce a San Valentino e più che una banale storia d’amore ha l’ambizione di raccontare la paura d’amare. Io vengo dalla commedia e credo che i film italiani degli Anni Ottanta e Novanta abbiano trattato il tema dell’amore in maniera troppo superficiale, facendo disabituare i giovani a guardarsi dentro. L’amore non è un sentimento da sabato pomeriggio ma un animale indomabile che  ti mette a nudo e non ti permette di nasconderti."

 

Il film è liberamente tratto dall’omonimo romanzo che lei ha scritto nel 2006 con Carla Vangelista. Già in fase di stesura era in cantiere una trasposizione cinematografica?

 

"Con Carla non pensavamo assolutamente di trarne un film. Rispetto al libro la pellicola è vista più con gli occhi di Sasha e, pur non essendo autobiografico, racconta le mie paure, le mie incertezze ed un sacco di cose di altre che mi riguardano. "

 

Nel film lascia intendere che il vero problema dell’amore è affidarsi o meno a qualcuno.

 

"Più che il personaggio di Sasha credo che sia molto centrato quello di Benedetta, una ragazza con una femminilità intima che richiama un po’ il personaggio di Estella di Grandi speranze di Charles Dickens. Introversa, incapace di lasciarsi andare e di guardarsi dentro, finisce per essere travolta dalla solitudine. Mi ricorda tanto Anouk Aimée di Un uomo, una donna di Claude Lelouch o per rimanere in ambito cinematografico, più l’anziana protagonista di Harold e Maude che Mrs Robinson de Il laureato."

 

Nel film Sasha è un accanito giocatore di poker

 

"Il poker è per me una metafora della vita come azzardo e mi è servito per sottolineare come molte persone preferiscono rimanere incastrati al loro passato piuttosto che guardarsi dentro. Nel film Sasha riesce a vivere solo dopo aver accettato il proprio passato. In Magnolia c’è una frase che amo molto e che dice: “Noi possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi”.

 

Ha rubato qualche consiglio a suo fratello Gabriele?

 

"Ho lavorato in una grande solitudine anche perché, pur non temendo il confronto, temevo che qualche suo suggerimento potesse condizionarmi."

 

Come è ormai abitudine nei film italiani, anche nella sua pellicola la colonna sonora tappezza ogni scena e c’è un uso eccessivo dei primi piani del protagonista

 

"E’ la mia opera prima e come spesso capita nei film d’esordio ci si mette dentro tutto e di più. Nei prossimi proverò a sottrarre e non ad aggiungere."

 

Il suo non è un film militante ma lancia uno sguardo disincantato sulla società odierna. Che ne pensa della situazione politica attuale?

 

Sono rimasto basito nel vedere il comportamento di alcuni senatori che brindavano in Senato a champagne e mortadella. L’Italia è ormai diventata la barzelletta del mondo e la spazzatura che inonda Napoli è lo specchio di questa classe politica. E’ difficile essere ottimista quando un governo dura diciotto mesi ed un senatore da del “pezzo di m…” ad un altro collega."

 

Articolo pubblicato su "Epolis"- 18-02-2008

 

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