Intervista a Mario
Monicelli
Perché negarlo? Intervistare un mostro
sacro del cinema italiano ti scatena sempre un tumulto di emozioni ed è forse
preferibile rompere gli indugi e
sparare a bruciapelo la prima domanda che ti viene in mente.
“Io e Steno lavoravamo insieme. Ma
quando decidemmo di separarci andammo alla ricerca di un produttore e nessuno
volle finanziare i nostri film. Allora decidemmo di fingere di lavorare ancora
insieme. In realtà, Steno diresse da solo “Totò a colori” che fu il primo film a
colori italiano mentre “Le infedeli” nel 1952 lo girai da solo.
Mario Monicelli inizia a rievocare così
la sua lunga carriera cinematografica. Sessantadue film all’attivo, un paio di
Orsi d’argento e di Leoni d’oro, una valanga di David di Donatello ed un paio di
nomination all’Oscar. Monicelli, con il tono di chi ha saggezza da vendere,
centellina i suoi ricordi, spruzzandoli di quel disincanto tipico dei toscani.
“Totò era una maschera ed è paragonabile
solo ai grandi come Chaplin, Keaton ed i fratelli Marx. Ma noi che l’abbiamo
diretto gli affidavamo delle parti troppo “umane” e lui finiva così per perdere
inevitabilmente, quella comicità surreale ed astratta che era riuscito a
sprigionare al massimo quando faceva la rivista e l’avanspettacolo. Dopo “Totò
cerca casa” del 49 l’ho diretto in“Guardie e ladri”, in “Totò ed i re di Roma”
ed in“Totò e Carolina”. La critica non l’ha mai compreso ma noi eravamo così
ripagati dal pubblico che ce ne infischiavamo. E quando girai “I soliti ignoti”
lo volli al fianco di Gassman, Mastroianni.“La ragazza con la pistola” e “La
grande guerra” ebbero anche loro una nomination agli Oscar ma non fecero colpo
come “I soliti ignoti”. “L’armata Brancaleone” non fu compreso appieno
oltreoceano per il problema della lingua.”
Anche se ripete più volte che non ha
aneddoti da raccontare, il grande Maestro ha sempre una traccia da cui partire.
Di ogni film ricorda l’atmosfera sul set, i motivi del successo (Il marchese del
grillo”) e dell’insuccesso (“I compagni”) ed i motivi che lo spinsero a girare
un determinato film:
“Casanova 70 nacque da un’idea di Tonino
Guerra. De “Il male oscuro” mi piaceva molto lo stile ironico di Berto e come
aveva mostrato il rapporto tra il paziente e quello con il suo analista. Ma il
titolo fece scappare tutti gli spettatori. “Il medico e lo stregone” lo girai
perché mi colpiva molto il fenomeno dei “guaritori” che imperversava nell’Italia
rurale.”
Nel suo girovagare tra i ricordi non
poteva mancare un suo commento sul cinema italiano:
“Sono stato assistente di tutti i
registi italiani del cinema degli Anni Trenta. Il cinema poi cambiò con il
neorealismo. Sono cambiati gli attori e ci fu per una ventina d’anni almeno un
periodo d’oscuramento. E poi per molti anni il pubblico non ha più amato il
cinema italiano. Adesso c’è un’aria nuova e solo da alcuni anni il pubblico si è
riavvicinato ed è tornato nelle sale. Merito dei tanti registi come Giordana,
Soldini, Calopresti.”
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)