Last days di Gus Van Sant

 

 

La musica ha spesso avuto la funzione di colmare l’indicibile, di intervenire laddove gli sguardi dei protagonisti divenivano insufficienti, di far da cerniera alle diverse sequenze filmiche, di sottolineare i  passaggi cruciali che si susseguono all’interno di una tessitura narrativa. Dopo lo storico Il cantante di jazz del 1927 sono stati scritti fiumi d’inchiostro sulla sua funzione extranarrativa all’interno di un film. Territorio dell’impalpabile e del sublime, ha dato vita a diversi generi cinematografici. I “musicarelli” erano pellicole italiche a basso costo costruite su misura per evidenziare le doti canore di Gianni Morandi, Bobby Solo, Little Tony, Al Bano e di tante altre ugole nostrane. La trama narrava, generalmente, di due adolescenti che, trafitti dalle frecce di Cupido, s’innamoravano a prima vista e dopo qualche banale incomprensione e l’immancabile scenata di gelosia, si lasciavano di colpo. Dopo lacrime, pianti e sospiri la tanta attesa riappacificazione avveniva grazie all’esibizione canora dell’attore/cantante protagonista che, come d’incanto, scioglieva il cuore dell’amata che ritornava di corsa tra le sue braccia.

I “musicarelli”, strutturati con una trama banale, intervallata da canzonette orecchiabili e di facile ascolto, ebbero intorno agli Anni Sessanta in Italia un grande successo popolare perché mettevano in scena delle storie candide e pure. Le nostre ugole d’oro erano i classici ragazzi della porta accanto e la spettatrice in sala poteva cullare il sognare di incontrare, un giorno, anche lei il grande amore della loro vita. Se l’Italia è stata la patria di film s/canzonati l’America ha prodotto, invece, all’opposto, una serie di pellicole che hanno come protagonisti rockstar turbolenti e dannati.  Last days di Gus Van Sant, ispirato agli ultimi giorni di Kurt Cobain, morto suicida il 18 aprile 1994 a Seattle, ne è il tipico esempio.

Il film narra le ultime ore di Blake (Michael Pitt) un giovane musicista dai capelli biondi alla disperata ricerca di se stesso. Occhiali scuri, una maglietta sdrucita ed un jeans sfilacciato, s’aggira senza scopo in una vecchia villa disadorna e semi-abbandonata. Il regista evita sapientemente di non cadere nelle secche del biographic ed azzera talmente i riferimenti allo storico leader dei Nirvana al punto che, per tutta la durata del film, non c’è traccia di nessun concerto, né si ascolta un brano musicale della mitica band. Blake è lontano mille miglia dal divo eccentrico e sregolato che ha calcato i palcoscenici di mezzo mondo ed il regista ce lo mostra come un fantasma che strimpella un po’ la chitarra, indossa una sottoveste da donna, sgranocchia qualcosa da mangiare, si tuffa in un fiume e scambia qualche monosillabo con un signore che vuole vendergli delle inserzioni pubblicitarie sulle Pagine Gialle. Niente sesso, droga e rock’n’roll, nessun accenno a Cortney Love ed all’adorata e piccola Frances ma solo delle scene che ritraggono uno (anonimo) sbandato che non riesce a fronteggiare i propri fantasmi interni che lo spediranno diritto all’inferno. Van Sant avrebbe potuto impaginare un melodramma fiammeggiante ma sceglie di non concedere nulla alla curiosità dello spettatore, evitando perfino di far riferimento alla famosissima lettera-testamento che il musicista lasciò prima di suicidarsi e contenente la storica frase: “E’ meglio bruciare con una fiammata che spegnersi lentamente. Come è sua abitudine il regista spiazza tutti e dopo averci mostrato un film su Kurt Cobain senza che vi sia traccia di Kurt Cobain, ci propone, all’opposto, la vicenda di una rockstar smarrita e confusa che implode in se stesso, consumandosi, ora dopo ora, fino a morire. Non siamo dalla parte di Elephant e la storia, scandita da un ritmo ossessivamente lento, non deflagra nel finale ma scorre, inesorabilmente, fino all’epilogo senza alcun colpo di scena. Il regista non maschera la macchina da presa che in/segue costantemente il protagonista per tutta la durata del film e non disdegna qualche piccolo esercizio di stile (un paio di carrelli laterali ed all‘indietro dal grande impatto emotivo).Lacerante, intenso, disperato.

 

 

Recensione pubblicata sulla Rivista "Eidos- Cinema, Psiche ed arti visive" Numero 5- 2006

 

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