La guerra in testa

 

“La gente ama la violenza, rallenta per vedere gli incidenti”

                                                               (da "Million dollar baby”)

 

1. Freud, Calvino e Morfeo

 

Tutti noi siamo stati nutriti, sin da bambini, dalla violenza delle immagini. Il grande Maestro viennese aveva definito "scena primaria" quella dei nostri genitori che si agitano tra le lenzuola. Secondo Sigmund Freud il bambino, di fronte a questa scena, carica ai suoi occhi solo di violenza e d'aggressività, ne resta, inesorabilmente, traumatizzato. Questo evento, se non metabolizzato, può provocare nel piccolo e confuso spettatore, complessi, frustrazioni ed una sequela infinita di tic, fobie e di altre "strane" patologie.

Questa "rivoluzionaria" scoperta freudiana, attualissima ancora ai giorni nostri, ci ricorda che, per l'equilibrio psicologico di un bambino quello che conta non è tanto "l'intensità" della "scena primaria", quanto la sua capacità di depotenziare emotivamente quelle immagini, di poterle assorbire e ricollocarle nella propria mente, secondo il principio di realtà.

Non è forse un caso che il personaggio simbolo di tutta la metapsicologia freudiana sia proprio Edipo, l'eroe "dannato" della tragedia greca che, una volta scoperto di aver ucciso il proprio padre e di aver giaciuto con la propria madre, per punirsi dei propri peccati, si priva della vista, accecandosi. Come è noto, la scelta dell'organo colpito da Edipo non era casuale, dal momento che al tempo, nell’antica Grecia, l’essenza dell’anima era localizzata nella pupilla.

"Scena primaria" a parte, l'infanzia di ogni individuo è stata, da sempre, innaffiata e concimata dalla violenza di certe immagini. Chi non ricorda, ad esempio, su tutti quel brano del Vecchio Testamento che ricorda il sacrificio di Abramo e di Isacco? Come in un vero film dell'orrore, le Sacre (?) Scritture non descrivevano (forse) la pena di un uomo che non poteva disubbidire ad un ordine "divino", il suo triste ascendere sul monte, il suo chiedere "silenziosamente" al figlio di immolarsi in nome di una Legge più alta di lui e sconosciuta? E che dire delle innumerevoli fiabe che si raccontano ai bambini, popolate da orchi malvagi, da lupi famelici e da genitori anaffettivi ed indifferenti di fronte alle pene ed ai supplizi dei propri figli?

Italo Calvino, nelle sue "Lezioni americane" ci ricordava come ogni fiaba, racconto e storia che ascoltiamo viene tradotta, inconsciamente, in un'immagine mentale. "Questo "cinema mentale" è sempre in funzione in tutti noi, ed è il risultato di una successione di fasi, immateriali e materiali, in cui le immagini prendono forma. Lo è sempre stato, anche prima dell'invenzione del cinema e non cessa mai di proiettare immagini alla nostra vita interiore". Da ciò ne discende che ogni volta che ascoltiamo un racconto o ci apprestiamo alla lettura di uno scritto, la nostra mente "filma" l'evento, traducendolo, immediatamente, in un'immagine mentale.

Chiunque presta orecchio ad una storia, ricostruisce i singoli passaggi narrativi e cristallizza, nella propria memoria, sequenze, gesti ed accadimenti, siano essi dolci e teneri ed all'opposto, sadici e violenti. Questo patrimonio visivo non va perduto nel tempo e si sedimenta, inconsapevolmente, giorno dopo giorno nella mente di ogni individuo, senza essere mai disattivato, né di giorno né di notte. E se durante il giorno delle immagini o frasi ci colpiscono in qualche modo e rimangono scolpite nella nostra mente, di notte possiamo "magicamente" metabolizzarle nel corso del nostro "lavoro onirico".

Quando entriamo nella fase REM del sonno ed iniziamo a sognare, siamo sommersi da migliaia d'immagini che, montiamo e rimontiamo nella nostra mente, secondo un regime narrativo che allo stesso sognatore può apparire illogico e senza senso.  E mentre siamo nelle braccia di Morfeo, quante volte assistiamo a scene di una crudezza e di un sadismo che non hanno nulla da invidiare alle scene raccapriccianti che passano regolarmente al cinema o in TV? Se aderiamo alle premesse teoriche fin qui elencate, ne discende che tutto quello che è veicolato dai media non può più farci gridare allo scandalo, sorprenderci, indignare o lasciarci di stucco. Nella nostra mente abbiamo già stato proiettato tutto; stupri, omicidi, violenze, percosse e sgozzamenti.

 

2. Il campo ed il fuori campo

 

Mi si potrà obiettare che c'è un'enorme differenza tra l'immagine di un efferato delitto, ricostruita (solo) nella nostra immaginazione ed un'altra reale e che la forza eversiva, violenta e dirompente della seconda non può mai essere paragonabile alla prima. Da quando è nato il cinema, lo spettatore è stato abituato al "fuori campo", a quello spazio invisibile ed immaginario dove, chi è in sala, è autorizzato a fantasticare su quello che è avvenuto, oltre i bordi dello schermo. Chi non ricorda una delle scene più inquietanti di "Evilenko, il comunista che mangiava i bambini" diretto da David Grieco? Il protagonista (Malcom Mc Dowell) un soggetto disturbato psicologicamente e con il "vizietto" del cannibalismo, con un ingegnoso stratagemma, attira nella toilette del treno un giovane studente. Chi è in sala intuisce lo sviluppo narrativo ma il regista, sapientemente, ci regala "solo" l'ingresso del ragazzo nella toilette. Poi, in rapida successione, ci mostra un primo piano di Evilenko (con lo sguardo allucinato ed un rivolo di sangue che gli riga la bocca) ed una zoommata sul pavimento, rossastro come quello di un mattatoio e spoglio di qualsiasi traccia del corpo ragazzo. Questa sequenza sta a confermare che lo spettatore al cinema (e non solo) non è più ai bordi di una storia ma è chiamato a riempire certe falle del discorso e del tempo narrativo.  Ed in questo spazio lasciato alla più libera delle interpretazioni, ognuno è libero di fantasticare quello che vuole. C'è chi carica questo spazio immaginario con scene cruente e sanguinolente, chi le assottiglia, rendendole eteree, volatili, impalpabili. Lo spettatore/lettore, allenato da tempo a questa sorta di ginnastica visiva, ogni qual volta accende il televisore o sfoglia una rivista, riempie, con la propria immaginazione, ciò che lo schermo o il rettangolo cartaceo non ha "fotografato" e lasciato (volutamente?) "fuori campo".

E se gli inviati sui fronti di guerra mostrano teste mozzate, corpi a brandelli, bambini dilaniati dallo scoppio delle bombe, chi è a casa, può nutrire ed amplificare queste scene, con la propria mente, restando comunemente in poltrona. Se ripensiamo ai reportage trasmessi sulla guerra in Iraq quello che colpiva maggiormente la nostra immaginazione erano le foto degli ostaggi (italiani e non) le sequenze video mostrate o forse tutto quello che non poteva essere mostrato (violenze, umiliazioni, aggressioni fisiche e verbali)? Da ciò ne discende che il vero dato inquietante delle cronache di guerra, non sono (forse) le immagini o le sequenze trasmesse dalla televisione o in rete, ma quelle "invisibili", quelle mai scattate e date in pasto alla nostra immaginazione.

3. Lo sguardo osceno, lo sguardo impuro

La tecnica del "fuori campo" fu utilizzata, al cinema, non solo per ragioni di stile o per motivi legati alla durata del tempo narrativo, ma soprattutto per ragioni etiche. Il famigerato Codice Hays*  non aveva dettato, forse, in maniera, rigida e severa le regole a cui registi, sceneggiatori e produttori dovevano scrupolosamente attenersi?  Il cinema, bandite le scene troppo forti e quelle che avrebbero potuto turbare i sogni di chi era in sala, declinava così una narrazione piana, che garantiva il rispetto delle pupille e delle coronarie dello spettatore. Ma la "settima arte", si sa, sin dalle sue origini, è sempre stata anarchica e rivoluzionaria.

Chi non ricorda la famosissima scena dell'occhio della donna, tranciato da un rasoio, nel famoso incipit di "Un chien andalou" di Luis Bunuel? Quella sequenza "surrealista" fece tanto scalpore all'epoca, non soltanto perché indigesta e "violenta", ma perché era l'espressione di un nuovo regime estetico, teso a squarciare lo "sguardo" borghese dell'epoca. A quale ordine estetico s'ispirano, invece, ai nostri tempi, le immagini violente proposte dai media e dalla televisione?

La realtà è che i loro fotogrammi, sono assolutamente "osceni" (nel senso letterale ed etimologico del termine stesso "ob-scenus", "ciò che è oltre la scena") non solo per l'eccedenza dell'immagine mostrata, ma per il loro desiderio esplicito sia di violare l'innocenza di chi guarda, sia di rimandarlo ad un "altrove" dove possa regnare la più sfrenata e perversa immaginazione.  Ed è proprio nella certezza di aver scardinato l'intimità perduta, di aver violato uno spazio privato senza il consenso della persona ripresa o fotografata, che contraddistingue il pensiero "ob-sceno".

4. La disubbidienza visiva

Di fronte al dilagare di questo nuovo regime "estetico", credo non ci sia più scampo. Da anni si ripete, stancamente, che tutto quello che passa per a televisione è palesemente finto e che non c'è più distinzione tra fiction e realtà. Nell'immaginario collettivo si è ormai stratificata la convinzione che le morti "in diretta" fanno parte dello show-business e che anche le immagini più ruvide e dure, mai mostrate sullo schermo, non fanno più male a nessuno.

Sinceramente, non condivido questa lettura e non mi va di accodarmi a questo stupido ed appiattito coro. La corsa all'audience, allo scoop, allo share ha inquinato in maniera così irrimediabile lo sguardo televisivo che non ci resta che un'unica scelta: quella della "disubbidienza visiva". Lo confesso. Da tempo ho spento il televisore e lo utilizzo solo come un elettrodomestico saprofita che mi permette di per vedere i film, grazie ai lettori VHS o DVD.  Ed è così, che dimenticando i venti di guerra, m'imbevo di una pellicola, rilassandomi e regredendo ad uno stato para-onirico paragonabile a quello del sonno. E non importa se, mentre sto "sognando" compaiono sullo schermo cadaveri, mostri e serial killer. Quando mi sarò risvegliato, sono certo, che i buoni avranno messo in fuga i cattivi di turno.

 

Note

* Il Codice Hays, manuale di auto-censura, entrato in funzione il 31 marzo del 1930,  prevedeva, ad esempio, che la durata media di un bacio non dovesse superare il tempo di secondi. L’adulterio era illecito, la nudità proibita, le scene di passione devono essere strettamente indispensabili, la violenza è vietata, le scene di svestimento devono essere interrotte all’inizio e nessun compiacimento deve trasparire in chi si toglie i vestiti, l’ombelico deve restare nascosto, l’omosessualità e la prostituzione non possono essere mostrate sullo schermo, le perversioni sono bandite….

 

 

Dalla Rivista Forme Marzo n.1 2006

 

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