La casa che
grondava sangue (The house that dripped blood)
di Peter Duffell
con Denholm Elliott, Johanna Dunhan, Robert Lang, Tom Adams
- GB - 1970 – Durata
Film ad episodi che ruotano intorno ad una casa maledetta. Nel primo Method for murder, Charles Hillyer (Denholm Elliott) scrittore sposato con la bella e seducente Helen (Johanna Dunhan) si ritira in una casa isolata per scrivere il suo ultimo romanzo che vede come protagonista Dominique, una creatura del male, evaso dal manicomio criminale e che batte la campagna per uccidere le sue vittime. Più la creatura letteraria prende corpo e più Charles lo allucina come una persona reale, in carne ed ossa, che si aggira per ogni angolo della casa. Ben presto la mente di Charles inizia a vacillare e consulta il dottore Andrews (Robert Lang) che lo rassicura, gli suggerisce di sottoporsi a delle sedute di psicoterapia a cadenza settimanale. Charles si sente sempre più perseguitato dalla sua creatura letteraria che è vivo e vegeto ed altri non è che Richard (Tom Adams) l’amante di Helen che, con la sua complicità, si adopera per farlo impazzire. Ma Richard non rispetta i patti e, dopo aver strangolato lo psichiatra, uccide freddamente Charles; alla scoperta dei due delitti Helen è sconvolta e Richard, dopo averle confessato che è ormai diventato Dominique, la strangola.
Il regista mette in scena quattro storie scritte da Robert Bloch, l’indimenticabile autore di Psycho e le ambienta completamente tra le quattro mura della casa maledetta. Il primo episodio, risponde ai canoni classici del gotico e, sin dalle prima battute, ci mostra Charles che confida alla moglie le proprie preoccupazioni: “Mi sento a terra. Il dottore dice che il temporale è dentro di me che tutto scaturisce dall’interno; una proiezione della mia immaginazione. Lo sai cosa ha concluso dopo l’ultima visita? Che quando un autore crea un personaggio è come un attore che sostiene una parte. E la parte a volte ha il sopravvento. Stasera non lavoro più”. La moglie, amorevole e sorridente, prova a sostenerlo, lo rincuora e l’invita a non pensarci più. Nel corso della vicenda Charles continua a tormentarsi ma lo psichiatra gli ribadisce: “I personaggi sono un’estensione della personalità dell’autore, rispecchiano molte volte un lato che egli cerca di celare a se stesso. Ora si rilassi, chiuda gli occhi. Lei ritiene di essere un uomo onesto e buono che ama sua moglie però prova anche ostilità nei suoi confronti. Invece di esternare questa ostilità, lei inventa un personaggio che l’esterni per lei ma quel personaggio è solo frutto dell’immaginazione, non è reale. Lei vive con il suo personaggio, ora per ora, ne delinea il suo aspetto, esaspera le sue azioni, pensa come lui fino al punto da convincersi che esista realmente mentre è finzione”.
Man mano la vicenda si srotola e diventa sempre più livida e tesa, un convincente Denholm Elliott si stampa in faccia un’espressione che trasmette allo spettatore un senso di malsana inquietudine. Da incorniciare il finale inaspettato.