"Conversazione con Giuseppe Piccioni"
di Ignazio
Senatore - Falsopiano Edizioni - 2012
Introduzione
Ho incontrato la prima volta Giuseppe a luglio
del 2009 per la proiezione a Napoli del suo
Giulia non esce la sera, nell’ambito
della Rassegna “Accordi e Disaccordi”,
ideata da Pietro Pizzimento, alla quale collaboro da alcuni anni. Dopo averlo
presentato al pubblico, demmo loro appuntamento al termine della proiezione per
il consueto dibattito sul film. Per ingannare l’attesa, invitai Giuseppe a
mangiare una pizza in un locale vicino al Parco del Poggio, il magnifico spazio
all’aperto che ospita ogni anno la rassegna napoletana.Sono sempre stato un suo
ammiratore e, come uno scolaretto che voleva fare bella figura, per rompere il
ghiaccio, mi affrettai a dire che ero rimasto abbagliato da
Giulia non esce di casa e che lo avevo
ricoperto di elogi nella mia recensione su “Segno Cinema”. Giuseppe non l’aveva
letta e gli promisi che gliel’avrei spedita tramite e-mail. Tra un sorso di
birra ed un trancio di pizza, iniziammo a chiacchierare del più e del meno ed
ebbi la netta impressione di conoscerlo da sempre. Pacato, riflessivo, misurato,
Giuseppe rispose con estrema disponibilità alle domande sul suo cinema, sulla
scelta degli attori e quando, per stuzzicarlo, lo presi in giro per la
pasticciata rappresentazione della psicoanalista di
Condannato a nozze, dopo essersi inizialmente difeso, concordò,
divertito, con le mie critiche e mi raccontò qualche simpatico aneddoto relativo
al film. Gli accennai poi alla proiezione che avevo organizzato nel dicembre 2001 in Aula Magna dell’Università “Federico II”
di Napoli di “Fuori dal mondo”, con
Silvio Orlando in veste di ospite d’onore ed, incuriosito, mi fece alcune
domande sulla mia capacità di conciliare la mia passione per il cinema e la mia
attività professionale. Ritornammo al Poggio e l’incontro tra Giuseppe ed il
pubblico fu frizzante e schioppettante. Fioccarono, come prevedibili, domande
sulla scelta della napoletana Valeria Golino come attrice protagonista,
sull’ambientazione in una piscina, sui riferimenti al premio letterario…
Giuseppe era in gran forma e, giocando anche un po’ gigionescamente con il
pubblico, confidò che era un po’ geloso di quegli autori che scrivono canzonette
e che, acquistata una repentina notorietà, entravano facilmente nel cuore delle
persone. Senza enfasi ed eccessive sottolineature ricordò al pubblico quanto il
mestiere del regista fosse più complesso di quello del cantautore e sottolineò
la fatica per metter in moto la macchina –cinema; dai contatti con i produttori,
alla scelta delle location, degli attori... Giuseppe salutò il pubblico e lo
accompagnai in albergo. Mentre continuavamo a chiacchierare, mi accennò alla
“Libreria del Cinema” che aveva aperto a Trastevere
ed io, dopo avergli promesso che alla prima occasione avrei fatto un
salto, gli proposi di presiedere la giuria del secondo concorso di cortometraggi
“I corti sul lettino – Cinema e
psicoanalisi”
che si sarebbe
tenuta a Napoli due mesi dopo al Parco del Poggio. Con mia grande gioia,
Giuseppe non me lo fece ripetere due volte ed accettò immediatamente l’invito.
Come presidente della giuria fu impeccabile e piuttosto di far valere il suo
“peso”professionale, ascoltò i giudizi degli altri giurati e “pilotò”, con
garbo, una votazione che non scontentò nessuno. Dopo qualche mese, trovandomi a
Roma, feci un salto alla “Libreria del Cinema”. Non appena entrai in quel
piccolo ma delizioso spazio, mi venne la pelle d’oca; aggirarsi tra gli scaffali
di una libreria che esponeva solo volumi dedicati al cinema fu per me
un’emozione sovrapponibile solo a quella che ebbi quando visitai il Museo del
Cinema di Torino. Al di là dei classici del settore, di alcune “chicche”
dedicate ad autori più disparati ed allo spazio riservato alle cinematografie
straniere, scorsi una serie di DVD e mi colpì che tra questi non erano presenti
tutti i film di Giuseppe; non mi meravigliai però più di tanto, perché da una
persona schiva e riservata come lui, c’era da aspettarselo. Nel locale si
respirava un’atmosfera
intima e familiare e, con mia grande sorpresa, scoprii che, la sera si
poteva anche gustare un bicchiere di vino e qualche prelibatezza. Entrambi
avevamo degli impegni e, dopo una breve chiacchierata, ci salutammo. Continuammo
a cercarci ed un po’ per scherzo, gli lanciai l’idea del libro. Lo prendevo in
giro. “Ma come è possibile, un regista che
ha messo in piedi una libreria del cinema non ha un libro a lui dedicato?”
Di rimando Giuseppe si scherniva e rilanciava: “Il libri di cinema non si vendono. Che lo facciamo a fare?”. Questo
gioco andò avanti per un po’, ma sapevo che dentro di lui l’idea di questa
avventura stava scavando un solco. Superate le sue ultime resistenze, decidemmo
di rivederci in libreria e, di primo acchito, gli chiesi come mai alle pareti
non ci fosse nessun manifesto dei suoi film. Lui mi fece cenno di aspettare e,
come un bambino divertito, dopo qualche secondo, da un angolo nascosto della
libreria, tirò fuori un bellissimo manifesto della versione americana di
Fuori dal mondo, dove campeggiava
un’intensa ed inedita Margherita Buy. Per ragioni di comodità, ci trasferimmo a
casa sua, in quella che definisce la sua “tana”. Alle pareti nessun manifesto
dei suoi film, né un premio che testimoniasse la sua storia di regista. Nel
soggiorno una libreria stipata di libri (non solo di cinema) e diversi DVD,
sparsi tra il tavolo, posto al centro della stanza ed impilati alla rinfusa su
dei ripiani. Il pezzo forte dell’appartamento? Un terrazzo che Giuseppe
utilizzava nei mesi caldi per qualche cena con amici. Abbiamo incominciato
l’intervista quasi per gioco e, sin dalle prime battute, sono rimasto colpito
dalla sua grande voglia di raccontarsi. Mentre riandava con i suoi ricordi a
ritroso nel tempo, alle sue passioni cinefiliche dell’infanzia e
dell’adolescenza, alle sue frequentazioni ai cineclub romani, dentro di me, mi
chiedevo: “Perché amo il suo cinema?”
Alcune risposte risalirono immediatamente a galla; perché si muove con passo
felpato sullo schermo; le storie che racconta, intime e sospese, sono ammantate
di spiazzante e dolorosa umanità; è il regista più “francese” del nostro cinema;
con le sue storie “semplici” riesce a trapassare il cuore dello spettatore; il
suo cinema non è definitivo, perché con genuinità e leggerezza mette in campo lo
smarrimento di chi vorrebbe vivere senza scosse ed assapora, invece, il vuoto,
l’inutilità e l’insensatezza della propria esistenza....Chi è forse Razzo,
l’irregolare ed impulsivo co-protagonista de
Il grande Blek? E non sono
forse dei “perdenti” la svampita Elena ed il metodico Marco di
Chiedi la luna?; il nevrotico
e“sdoppiato” Roberto, protagonista di Condannato a nozze, i teneri e “sfortunati” Lucia e Stefano di
Cuori al verde, gli “infelici”
Caterina ed Ernesto di Fuori dal mondo,
i dispersi Antonio e Maria di Luce dei
miei occhi, i tormentati Stefano e Laura de
La vita che vorrei e gli irrisolti
Giulia e Guido di Giulia non esce la sera? Del resto lo stesso Giuseppe, nel
descrivere il proprio cinema, in alcune pagine del suo sito, ha rilasciato
questa poetica dichiarazione:“Nelle mie
storie i protagonisti sono un po’ naufraghi, sempre sul punto di perdersi. Non
sono dei vincenti, non riescono a far tesoro dei loro errori. Non sono
soddisfatti di sé, hanno dei difetti di fabbricazione, si sentono inadeguati
rispetto agli standard di efficienza e buon senso richiesti dalla vita normale.
Insomma sono un po’ “fuori dal mondo”.(…) La loro quindi non è un’infelicità
media in cui tutti si riconoscono. Non hanno certezze e cercano di aggrapparsi
alla prima vera occasione di felicità che capita loro. Vogliono riempire quella
distanza che li separa dalla possibilità di vivere una vita normale.” Ma il
cinema di Giuseppe non è solo fatto di storie. Che dire del suo sguardo leggero,
ironico e disincantato dei suoi primi film, della sua cura, quasi maniacale, per
i dialoghi, della sua
impeccabile scelta delle colonne sonore, delle sue indiscusse capacità
di dirigere attori del calibro di Silvio Orlando, Sergio Rubini, Valerio
Mastandrea, Luigi Lo Cascio ed attrici come Margherita Buy, Valeria Golino,
Francesca Neri, Valeria Bruni Tedeschi, Asia Argento, Sandra Ceccarelli, Piera
Degli Esposti? “La mia vanità non arriva al punto da farmi desiderare che qualcuno
scriva un libro su di me ad ogni costo. La verità è che personalmente mi sento
in grande difficoltà quando qualcuno pubblica una mia intervista, un mio
intervento, insomma qualcosa che ha a che fare con le mie parole. “ mi ha
confidato, quasi sottovoce, mentre raccoglievo l’intervista. Schivo, riservato,
nel corso delle nostre amichevoli chiacchierate, Giuseppe si è dato con impeto,
passione e disponibilità, rispolverando dai cassetti della memoria, nomi,
eventi, passaggi, che non aveva (forse) mai raccontato prima. Fedele al
proprio cinema, nel corso dell’intervista, non hai mai cercato di impormi un
proprio punto di vista ma, con garbo, mi ha spinto, invece, a percorrere dei
sentieri inesplorati, invitandomi, assieme al lettore/spettatore, ad abbandonare
quella sorta di sguardo “pigro” ed a rileggere i suoi film con la curiosità di
chi,
abbandonate le “solite” certezze, di fronte al flusso delle immagini, desidera
solo perdersi e smarrirsi. “Bisogna che prima l’occhio dello spettatore abbandoni le sue abitudini,
e che l’immaginazione e l’intelligenza accettino di seguire altre vie.”
ricordava il grande Krzysztof
Kieslowski. Ed è proprio questo il suggerimento più accorato che
Giuseppe Piccioni sembra suggerire al lettore/spettatore.
“Non perdete tempo a dire male dei film che detestate, parlate invece
dei film che amate e dividete con gli altri il vostro piacere”. Fedele a
quest’affermazione di Jean Renoir proverò in questo volume a spingere il lettore
a conoscere più a fondo Giuseppe Piccioni, autore di film che mi hanno rapito,
commosso ed ipnotizzato, regista, a mio parere, ancora troppo misconosciuto
presso il grande pubblico.
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