Giacomo Marramao
Senatore: Ricordi, quando
l'anno scorso fummo invitati a Capalbio, per la presentazione del numero speciale
sul cinema della Rivista di Psicologia Analitica, ricordi, parlammo a lungo di
cinema...MI suggeristi di vedere "Estasi di un
delitto" un film di Bunuel che non avevo mai visto...Ad un appassionato
di cinema come te, non potevo non inviarti il mio
ultimo volume sul cinema...
Marramao :
Freud, nell'Interpretazione dei sogni, istituisce un nesso strettissimo tra
l'inconscio e l'immagine. L'inconscio, in qualche modo è una sorta di cavità
teatrale. Potremmo dire anche che l'inconscio è uno schermo sul quale in
qualche modo campeggiano delle immagini, dei simboli. Non é un caso che, poi, i
complessi vengano raffigurati da Freud, per l'appunto, in termini di miti... Il
mito di Edipo é già una configurazione iconica. Aggiungiamo a questo un altro
tema altrettanto importante; per la psicoanalisi, l'immagine é qualcosa di più
profondo della parola. In questo senso, la psicoanalisi anticipa ed
oltrepassa... C'è questo doppio movimento di anticipazione e di oltrepassamento
della filosofia del Novecento che, invece é legata all'idea della svolta
linguistica ed in fondo, alla prevalenza del linguaggio verbale e della parola
su tutto il resto. La psicoanalisi ci avverte su un punto fondamentale:
che la parola é meno profonda dell'icona e quindi, l'elemento iconico pesca
più in profondità rispetto alla parola stessa. Quindi
mi sembra più che legittimo il tuo tentativo di collegare la teoria
psicoanalitica con alcuni film culto della storia del cinema.
Senatore: Che
cosa ti é piaciuto del libro?
Marramao: Guarda,
ho trovato molto interessante la capacità di utilizzare una pellicola
nuovissima come "La stanza del figlio" di Moretti, ed
utilizzarla nella chiave, come dire, forse, anche più segreta del film stesso e
cioè nella figura di Moretti psicoanalista, nella sua "tragedia"
quotidiana. E' come se, nel tuo libro, ci volessi ricordare che Il cinema, ci ha
insegnato a capire il mondo attraverso dei gesti terribilmente quotidiani che
però ci danno la misura dell'irrevocabilità, molto più delle grandi scene. In fondo, il cinema ci ha abituati a comprendere
che l'inconscio ha a che fare con il ricorrere di alcune scene influenti e
queste scene influenti sono quella che hanno a che fare con la nostra specifica
individualità e con la nostra biografia. Ognuno di noi ha riposto nel proprio
inconscio una scena influente che ritorna. E questa scena influente che ritorna,
ritorna in tutte le età, al di là dei due miti che hanno segnato la vicenda
del Ventesimo secolo e che direi la psicoanalisi ha combattuto con forza; da un
lato il mito adolescenziale, il mito del "puer eternus" e dall'altro
il mito della maturità. La maturità non consiste in un superamento, in un
rendersi consapevole di quella scena influente che ritorna nella vita di
ciascuno di noi e con cui ognuno di noi deve fare necessariamente fare i
conti.
Senatore: Il mondo filosofico sta prestando sempre più attenzione al
cinema. Julio Cabrera, filosofo argentino che insegna attualmente
all'Università di Brasilia, ha pubblicato "Da Aristotele a
Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film"...Un filosofo come te,
con che occhio vede un film?
Marramao: Innanzitutto
il filosofo si deve rendere conto che la novità rappresentata dall'irruzione
dell'immagine-movimento, come la chiama Deleuze, nella storia del linguaggio e
della comunicazione é una rottura di straordinaria portata. In secondo luogo,
io sento il bisogno come filosofo di distinguere, in maniera radicale,
dall'immagine movimento che si può avere al computer o attraverso la
televisione dall' immagine-movimento cinematografico. Io rimango molto legato
all'ampiezza dello schermo. Ci sono dei film che si possono guardare solo a
partire da una certa ampiezza. Un film come "Apocalypse now" o
come "Blade runner" visto in televisione perde l'ottanta per
cento della sua forza. In qualche modo il cinema é una realtà dell'immagine
non è una virtualità. La fiction é una realtà finta... Il cinema deve avere
dimensioni tali da inghiottire l'Io individuale. Io non devo avvertire il film
come più piccolo di me, di quello che sono io, devo avvertirlo come più
grande. Una volta, il mio amico Beniamino Placido ha detto che, é
fondamentale nel cinema la proporzione; mentre nella televisione ciò che vedo
é più piccolo di quello che io sono, nel cinema, invece, vale esattamente il
contrario. E credo che questo sia molto importante per essere curati con il
cinema.
Senatore: Un'ultima
domanda...Gilles Deleuze ha scritto che i grandi autori di cinema possono essere
paragonati non soltanto a pittori, architetti, musicisti, ma anche a pensatori.
"Essi pensano con immagini-movimento, e con immagini-tempo, invece che con
concetti". Sei d'accordo con questa affermazione?
Marramao: Assolutamente.
Roma 21.2.2002
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