Simona Argentieri
Senatore: Sono
molto curioso di sapere cosa pensi del mio "Curare con il cinema"...
Argentieri: Vorrei,
innanzitutto, elencare le qualità del tuo libro... Primo: Non metti in piazza
le storie cliniche dei tuoi pazienti. E' molto interessante perché è un libro
molto clinico e pieno di esperienza clinica. C'è un solo paziente in questo
libro ed è Silvio Orlando, il paziente della copertina...Altro pregio: è
appassionato, è studioso, è giocoso....Poi, quello che noto è che hai
risparmiato, a te stesso e a noi, quelle noiosissime descrizioni
psico-terminologiche che ci hanno afflitto negli Anni Settanta ed Ottanta...
Invece il tuo modo di parlare è estremamente "libero", a modo
tuo. E poi ti esponi molto, nei tuoi gusti e nelle tue private preferenze.
E poi. accanto a questo, lo trovo molto "moderno", nel senso che é
diverso, rispetto alle trattazioni abituali... E'' a-sistematico (o meglio ha un
sistema nel rintracciare il filo del discorso molto personale) non esente da
capricci e passioni ed in questa modalità intreccia, con spirito
intrepido, tutta una serie di temi psicopatologici ed umani quotidiani (parli di
desiderio, di immagine del cibo, di alcol, di famiglia...) ...Nel capitolo 13 tu
citi Roberto Nepoti e parli della metamorfosi del racconto cinematografico.
Questo dello "zapping", credo che sia un modo di far funzionare la
mente e che per l'appunto sia moderna e che può creare qualche sconcerto...Nel
tuo libro c'è un continuo saltare da un registro all'altro, dalla realtà alla
finzione, alla patologia... che è diventato un modo di far funzionare la mente
che ormai è diventato quotidiano anche nelle psicoterapia, nella psicoanalisi;
si vede questo modo di funzionare che è poi é soprattutto nei più giovani che
vanno per corto-circuito del pensiero, per associazioni rapidissime che é molto
interessante...In questo senso mi va di raccontare un piccolo episodio accaduto
qualche anno fa... In un ciclo dedicato al cinema giapponese, ci fecero vedere
un film di Osima ("Notte di nebbia a Tokio") e tanti critici si
lanciarono in una serie di arditissime interpretazioni su questo originale uso
narrativo che ritornava indietro, che si avvolgeva su se stesso... Ma ad un
certo punto Osima intervenne e disse: "No, no, avete scambiato i
rulli"... cosa che fece molto divertire il pubblico. Ma questo ci fece
capire che c'è sempre una produzione di senso che si verifica comunque, anche
se si cambiano le carte in tavola e che non è da buttare via; è il modo
moderno di funzionare della mente di cui tu ti sei impadronito con una certa
facilità...Comunque, se tu accosti le cose (anche se è verissimo che il
novanta per cento delle parole scritte nel libro sono citazioni) però è
proprio quell'accostamento repentino, subitaneo e bizzarro ha liberato un nuovo
senso e questo credo che sia una delle cose più interessanti del libro. Un
altro pregio (molto raro specialmente tra gli psicoterapeuti e gli
psicoanalisti): non è presuntuoso. Non pretendi né di aver rifondato il mondo,
né la critica cinematografica, né la metodologia dell'incontro... lasci una
quantità di porte aperte ed esponi con molta onestà ed apertamente il suo modo
di intendere la narrazione, partendo dal mito di Sheherazade...
Senatore: Qualche
tua ultima riflessione?
Argentieri: Ho
trovato molto divertenti e spiritosi come hai descritto gli stili comunicativi
dei pazienti (pietra pomice, strip-tease, carciofo, luna park...). Mi pare
che tu rendi, con un flash, con un'immagine, con un metodo molto visivo e
cinematografico, come ciascun paziente possa raccontarsi, esprimere le patologie
a suo modo...Infine, mi pare che tu, come me, prendi giustamente le distanze da
una certa tendenza attuale... Mi riferisco alle Scuole di Cinematerapia e
a chi crede che per curare un depresso basta fagli vedere un film comico o di
far vedere ad un paziente maniacale un film drammatico... Anche tu affermi che
bisogna non banalizzare l'uso "terapeutico" del cinema...Per cui, dopo
aver letto il tuo libro, credo che il titolo che hai dato al volume, sia un po'
un gioco o una piccola civetteria dell'Editore...Il cinema è una meravigliosa
consolazione al male di vivere. E questo l'aveva già scoperto Freud
quando diceva che l'esperienza artistica era per lui, uno dei più grandi rimedi
ai mali del vivere. Freud, in un contesto tutt'altro che frivolo, come
"Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte", ha scritto:
"E' inevitabile che noi cerchiamo nel mondo della finzione, della
letteratura, del teatro (e noi aggiungiamo del cinema) un sostituto a tutto ciò
cui noi rinunciamo nella vita. La vita è come una partita a scacchi in cui una
sola mossa falsa ci obbliga a dichiararci battuti. Nell'ambito della finzione,
invece, troviamo quelle molte vite di cui noi abbiamo bisogno.
Roma 29 maggio 2002
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