Insidious
Qual è la prova inconfutabile che un horror ha funzionato? Il cestello di pop corn ancora pieno al termine della visione del film, segnale che indica come regista e sceneggiatore hanno catturato così tanto l’attenzione dello spettatore da non permettergli di allungare la mano ed ingoiare i pop corn. Dobbiamo (ahinoi), invece, prendere atto che l’horror, uno dei generi più visionari del cinema, non tira più. Colpa di registi e sceneggiatori che ripropongono stancamente e da troppo tempo ormai, stilemi consunti, prevedibili e desueti. Ne è la riprova il film di James Wan che narra di Josh (Patrick Wilson) e Renai (Rose Byrne), giovane coppia felicemente sposata che si trasferisce in una casa di periferia. Dalton, il loro bambino, vittima di un incidente, va in coma e la sua anima vaga in “un’altrove” che scatena su di sé le anime dei morti. L’intervento di una medium e di una coppia di esperti in parapsicologia faranno emergere nuove ed inquietanti verità.
Wan assembla, senza un pizzico di originalità, tutto quanto il genere ha già proposto in questi anni; una casa infestata da oscure presenze, un bambino innocente, vittima di misteriose e potenti forze occulte, degli oggetti inanimati dotati di vita propria che, di colpo, danzano e fluttuano vorticosamente nell’aria, delle figure minacciose che sbucano all’improvviso dal buio, degli inquietanti rumori in sottofondo ed una sinistra colonna sonora che s’impenna, di tanto in tanto all’improvviso. Questi condimenti, mescolati un po’ alla rinfusa, dovrebbero far fibrillare il cuore, arrestare il respiro e far correre dei brividi sulla schiena dello spettatore ma generano, invece, solo tedio, noia ed un’infinità di sbadigli.
Recensione pubblicata su Segno Cinema – N. 177 - 2012