In the mood for love" di Wong Kar Way - 2001

 

"Fu un momento imbarazzante... Lei se ne stava timida, a testa bassa, per dargli l'occasione di avvicinarsi ma lui non poteva, non aveva il coraggio. Allora lei si voltò e se ne andò via."

C'è già tutto il film in questa scritta che compare nei titoli di testa e commentata da una soave voce femminile fuori campo. Su Li-zhen (Maggie Cheung) è un’impiegata per una ditta d’esportazioni e Chow Mo-wan (Tony Leung) un giornalista. I loro coniugi sono per lungi periodi in viaggio d’affari ed entrambi, vivendo porta a porta, in una pensioncina di Hong- Kong, iniziano a frequentarsi sempre più. Una cravatta ed una borsetta ed altri piccoli indizi rivelano ai due che i loro coniugi sono amanti…E’ l’incipit del film da cui si dipana tutto il resto della trama.

Film sugli amori che solo se inappagati sembrano più veri, sul desiderio di desiderare ma soprattutto (ed in primo luogo) sul desiderio di essere desiderato dall’altro.  Film sulla rinuncia amorosa (i due più si amano e più celeranno all’altro le loro vere passioni) sulle fugaci schermaglie di sguardi e sul darsi, in silenzio, con gli occhi più che con la carne ed il corpo.

Wong Kar Way ammanta ancora più di mistero la trama scegliendo di non mostrare mai sullo schermo la coppia di adulteri e sul finale mischia un po’ le carte, depistando un  po’ lo spettatore. Per sottolineare la tristezza che avvolge i due protagonisti, il regista di Kong Kong utilizza le cifre stilistiche classiche del melò: la pioggia che scende copiosa, le sigarette, fumate nervosamente dai protagonisti, che sprigionano nuvole di fumo che s'innalzano fino al soffitto. Wong Kar Way sembra bloccare la sua m.d.p e filma (quasi) al rallentatore alcuni passaggi narrativi, dotandoli di una profondità espressiva senza uguali. Tranne il finale, girato nel tempio di Angkor Wat in Cambogia, il film (ambientato in realtà a Bangkok) si svolge tra le anguste stanzette della pensione e tra i bui vicoli di un Hong Kong immaginaria degli Anni Sessanta.

La pellicola, carica di erotismo e di seduzione è tutta permeata da una raffinatezza sconvolgente. Nulla è lasciato al caso ed è curato fin nei minimi dettagli; splendidi gli abiti che indossa la protagonista femminile (in perfetto stile Anni Sessanta) l'uso del colore, l’utilizzo della voce fuori campo, la struggente colonna sonora arricchita da brani di Nat King Cole (“Ojos vertes”, “Quizas, quizas”).

Anche se scandito ossessivamente per quadri, nel film, il tempo non esiste e tutto sembra procedere lungo un asse dove presente, passato e futuro si rincorrono e si elidono a vicenda. L'ossessione del tempo che scorre (e che contemporaneamente appare sempre fisso ed immobile) è rinforzata dagli orologi giganteschi appesi alle pareti. Maggie Cheung è un mix esplosivo di magnetismo e sensualità e Tony Leung per questa  interpretazione ha vinto, meritatamente, il premio come miglior attore al Festival di Cannes.

Da segnalare, infine, il tema musicale di  Michael Galasso, struggente e melanconico come non mai e tra i più evocativi mai ascoltati sullo schermo. Wong Kar Way con questa opera anticipa le tematiche presenti nelle sue successive pellicole (“2046” e l’episodio “Le mani” in Eros) e firma, così, il suo capolavoro. Inizialmente il film doveva intitolarsi “Story about food” (ciò spiega le numerose riprese dei protagonisti intenti a mangiare ) ed erano previste tre storie ed “In the mood for love” doveva essere una di queste.

Successivamente Kar Way si accorse che questa era l’unica storia che veramente gli interessava e l’allungò. Poco prima che Cannes stampasse il catalogo voleva chiamarlo “Segreti” ma poi la Direzione del Festival gli disse che esistevano troppi film con un titolo del genere. Dopo aver sentito un brano di Brian Ferry, intitolato “I’m in the mood for love” e fu spinto a rubarne il titolo per il suo film.

In un’intervista sul film il regista ha dichiarato:

“Il tempo ci priva in maniera irrimediabile di una certa innocenza. Andiamo avanti ed, inevitabilmente, siamo portati a guardarci indietro per constatare il cammino percorso. Cominciamo a ricordarci di cose che avevamo sognato di fare ma che sono rimaste lettera morta. Cominciamo a chiederci cosa sarebbe successo se avessimo preso un ‘altra decisione quel giorno là. Rimaniamo sconvolti al pensiero di come avremmo potuto vivere e non possiamo che avere rimpianti. Volevo che fosse come un film di Hitchcock, dove tante cose accadono fuori allo schermo, e l’immaginazione dello spettatore crea una specie di suspence.

 

Recensione pubblicata sulla Rivista "Eidos- Cinema, Psiche ed arti visive" Numero 2

 

Torna alla Homepage »