“I re e la regina” di Arnaud Desplechin
“I re non toccano le porte. Non conoscono questa felicità: spingere davanti a sé con dolcezza o bruscamente uno di quei grandi pannelli familiari, voltarsi verso di esso per rimetterlo a posto, tenere fra le braccia una porta...”. È questo l’incipit de I piaceri della porta, una delle più struggenti poesie di Francis Ponge. Arnaud Desplechin, come il cantore di Montpellier, pur piazzando una regina al posto di un re, ci narra di emozioni negate ed inespresse. Per tutta la vita Nora è stata educata dal padre a non mostrare i propri sentimenti. E quando scopre che l’amato ed anziano genitore è affetto da un male incurabile piange, singhiozza, si dispera ma è incapace di guardarsi dentro e di accedere alle proprie emozioni. Con la sollecitudine di chi deve espletare una noiosa faccenda burocratica vaga per tutto il film alla ricerca di un padre che riconosca il proprio figlioletto. Con la freddezza di un anatomo-patologo sceglie Ismael e non le importa più di tanto che il suo ex amante, rinchiuso in manicomio, per non impazzire, sta lottando contro i propri fantasmi interni. E quando l’anziano genitore in un testamento-diario le confessa di averla sempre odiata per la sua algida ed insopportabile vanità, Nora, cuore in inverno, creatura di sabbia, non trema, non ansima, non batte ciglio, non corruga per un attimo la fronte. Statua di cera, montagna di ghiaccio, con mano ferma e sicura, strapperà quelle pagine al vetriolo, cancellandole automaticamente dalla propria mente.
Il film non gronda né di pathos, né di tensione e il regista, indeciso se impaginare un dramma o una commedia, sceglie di situarsi nel mezzo, giocando tutto sul contrasto tra l’implosione, l’autocontrollo e la freddezza di Nora e l’esplosione, il discontrollo e l’effervescenza di Ismael.
Tutto si può perdonare a un film tranne che non abbia un’anima e questo controverso I re e la regina, manca di muscoli, di forza, di spina dorsale. Non c’è traccia di sangue, sudore e lacrime, nè compaiono i classici ingredienti narrativi (sesso, guerra, sogno, omicidi, tradimenti…) che stregano ed appassionano lo spettatore. Desplechin prosciuga troppo la trama, stemperando i dialoghi fino a renderli impalpabili ed inconsistenti e, invece di impaginare il classico (indigesto?) capolavoro autoriale, si limita a narrare “solo” una storia, incitando così lo spettatore al disimpegno, all’abbandono, alla disattenzione. Come un neonato, Desplechin cammina incerto nel testo e per illuminarne le zone sconosciute, lo diserta. Ed in questo stato di perpetua partenza dal racconto, in questo suo volerlo a tutti i costi svuotarlo e limarlo risiede (forse) il fascino del film. E proprio perchè incolore, inodore ed insapore, I re e la regina ti rimane dentro. Ma François Jullien nel suo Elogio dell’insapore “ci ricorda che “il Sapore ci attacca, l’Insapore ci distacca. Il primo ci accaparra, ci obnubila, ci asserve; l’altro ci affranca dalla pressione, dall’eccitamento delle sensazioni. Solo l’Insapore fa coesistere i cinque sapori: acido, amaro, dolce, acre, salato.” E se il regista fosse un seguace di François Jullien?
dalla Rivista Segno Cinema N. 140 - 2006