"Grande schermo, piccoli psicoanalisti"

di

Lucio Lombardi

 

"Psicoanalisi e cinema: un rapporto difficile, spesso costruito su luoghi comuni, nel migliore dei casi (vedi Woody Allen) giocato sull'ironia. Vampiro succhiasoldi e insensibile spettatore dell'altrui sofferenza o inconfessato voyeur delle fantasie più scandalose, assatanato seduttore delle clienti più fragili e belle: allo psicoanalista è solitamente negata la dimensione della normalità, la regola è la macchietta, e chi ha visto il divertente "Il mostro" di e con Roberto Benigni, ne avrà avuto l'ennesima conferma dall'improbabile psichiatra che cerca ad ogni costo di individuare l'inafferrabile assassino nel protagonista, il candido Loris impersonato da Roberto Benigni.

Ignazio Senatore, psichiatra e psicoterapeuta, ha passato in rassegna un centinaio di film in cui compare la figura  dell'analista, cercando di individuarne in ogni pellicola i tratti più significativi. Si va dall'affascinante terapeuta di "Basic Instinct", di cui gli spettatori ricorderanno senz'altro meglio le performance sessuali con Michael Douglas che non le sue capacità professionali, al raggelante Hannibal The Cannibal de "Il silenzio degli innocenti", psichiatra divorato dalla follia e divoratore delle sue vittime. Il frutto del lavoro è stato accolto ne "L'analista in celluloide" (Franco Angeli) presentato l'altro ieri al Festival del cinema di Sorrento, un libro che vuole essere una riflessione sull'identità del terapeuta così come si è formata in quella che è per eccellenza la fabbrica dei sogni, il cinema. Al di là del tentativo dell'autore di fornire al lettore uno strumento orientativo, emerge comunque forte dalla ricerca la sensazione che il cinema ancora oggi mantenga nei confronti della psicoanalisi un atteggiamento estremamente banalizzante, fuorviante e svalutativo. 

"D'altre parte, come scrive Senatore, "le case produttrici non fanno altro che rispettare il clima culturale che si è sviluppato intorno al mondo della psicoterapia": di qui, in particolare, nei film americani, la proposizione di figure spesso inattendibili rispetto ai canoni della professione così come si è andata formando nel vecchio continente.

Gli esempi che Senatore va a pescare nella filmografia sono in questo senso assai eloquenti, tant'è che crediamo che a nessuno possa mai venire in mente di affidarsi ad un terapeuta tra quelli che l'autore ci sottopone nel corso della sua ricerca. Quasi a non volere infierire  Senatore tenta un'operazione di parziale recupero forzando in parte i risultati del suo lavoro, per spiegare che "in nessuna di queste pellicole si respira quel clima di squalifica e di condanna del nostro agire terapeutico, così evidente nei film degli Anni Settanta, come ad esempio nel celeberrimo "Qualcuno volò sul nido del cuculo" con Jack Nicholson, dove gli psichiatri sono messi alla berlina come strumenti repressivi del potere."

"Il Messaggero" 19-12-1994

 

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