Il grande peccatore
(The great sinner)
di Robert Siodmak con Gregory Peck, Ava Gardner, Melvyn Douglas, Walter Huston,
Frank Morgan, Ethel Barrymore - USA – 1949 –Durata
Fjodor (Gregory Peck) giovane scrittore
diretto a Parigi incontra in treno la giovane e bella Pauline (Ava Gardner)
figlia del vecchio generale Ostrovski (Walter Huston) accanito giocatore e
quando lei fa tappa al casinò di Wiesbaden, decide di seguirla. Incuriosito ed
affascinato da quel mondo, Fjodor decide di gironzolare tra i tavoli ed
osservare il comportamento dei giocatori d’azzardo per poterne poi trarre uno
spunto per il suo prossimo romanzo. Fjodor s’imbatte in Aristide Pitar, un
anziano professore di matematico ed incallito giocatore; s’intenerisce alle sue
storie e gli paga il biglietto del treno perché possa finalmente ritornare a
casa ma Pitar, la sera stessa ritorna al casino, vince una grossa cifra, la
rigioca e dopo aver perso tutto, si spara un colpo di pistola. Pauline ricambia
l’amore di Fjodor ma gli comunica che lei è già promessa in sposa ad Armand (Melvyn
Douglas) il proprietario del casinò che in passato ha già ripianato più volte i
debiti di gioco di suo padre e che possiede delle sue cambiali per duecentomila
marchi. Per poter pagare quel vecchio debito e sposare la sua amata, Fjodor
tenta la fortuna al tavolo da gioco. Dopo aver guadagnato una somma colossale la
perde qualche ora dopo e si ritrova senza il becco di un quattrino. Divorato
sempre più dalla passione del gioco continua a sfidare, inutilmente, la dea
bendata, crolla fisicamente e psicologicamente ma troverà Pauline al suo fianco.
Siodmak, uno dei più grandi maestri del
noir americano degli Anni Quaranta, prova a cambiare registro e, nel trasportare
sullo schermo il noto romanzo
Il giocatore di Fjodor
Michajlovic Dostoevskij, dirige una pellicola cupa, non priva di umorismo nero.
Il film sembra partire in sordina e,
nelle prime battute del film il regista mostra Fjodor che si aggira tra i tavoli
da poker con uno sguardo lucido e distaccato descrive la follia che s’impossessa
degli incalliti giocatori ed annota:
“Dovevo studiare la strana passione che divorava quella bella fanciulla
rendendola così arida Anch’io volevo sperimentare ma non era il gioco in sé che
suscitava il mio interesse, erano i giocatori; il tipo gioviale con il suo
inseparabile sigaro, il tipo nervoso che fumava distrattamente e che andava
vagando tra i tavoli come uno spettro senza pace. E gli strozzini instancabili
che aspettavano avidamente la preda e la spolpavano come volevano. Ed infine
coloro che assistevano allo svolgersi di tanti drammi, impassibili, squadrando
con indifferenza il vecchio cavaliere con la sua giovane damina,
un monocolo ed un decoltè,
una banconota ed un bacio. Cos’è che tiene inchiodata questa gente a questo
gioco irragionevole? Sentivo pulsare nelle mie vene la loro febbre ma la causa
che la provocava mi era sconosciuta. Non potei resistere e giocai anch’io. “
Fjodor s’imbatte in Aristide Pitar, un
anziano professore di matematico ed incallito giocatore che, con un occhiata lo
inquadra: “Non siete un giocatore voi,
avete ancora un portasigarette. Anch’io ce lo avevo quando arrivai. “
E quando lo scrittore lo invita a pranzo
gli risponderà “Preferirei i soldi. I
novellini sprecano i soldi mangiando Il denaro serve solo a comprare
Fjodor s’intenerisce alle sue storie e gli paga il biglietto del treno perché possa finalmente ritornare a casa ma Pitar, la sera stessa ritorna al casino, vince una grossa cifra, la rigioca e dopo aver perso tutto, si spara un colpo di pistola. Turbato dalla sua morte appunta: “Cominciavo a capire che giocare significa molto di più che vincere o perdere denaro. E’ sempre l’anima che è in gioco.” Sempre più attratto dal demone del gioco Fjodor gioca alla roulette e mentre accumula denaro su denaro, in piena crisi di onnipotenza, pensa tra sé e sè: “Non mi importava quanto avessi vinto; ero stordito. Anch’io cominciavo a sentire quella passione. Quando desideravo un numero, lo desideravo con passione. Il numero doveva obbedirmi. C’ero riuscito, avevo vinto. Che sapore aveva questo mio potere, più dolce dell’amore stesso.” Con pochi tocchi Siodmak ci mostra come il protagonista, freddo e razionale, venga travolto da quella febbrile ossessione che circola nel casino fino a cadere anche lui nel baratro del gioco al punto che, ormai in bolletta, dopo aver impegnato l’orologio, il portasigarette, una medaglietta sacra che apparteneva a Pauline, si gioca con Armand i proventi dei volumi che ha scritto in passato e che dovrà scrivere in futuro. Il film è un po’ troppo cupo ma non mancano i tocchi di umorismo nero e Siodmak, sul finale del film regala l’indimenticabile figura della vecchia madre (Ethel Barrymore) del generale che corrosa dalla febbre del gioco d’azzardo, dopo aver perso una fortuna, morirà mentre sta giocando al tavolo verde.
Stralcio da “Vero come una finzione” Springer Editore – 2010 di Matteo Balestrieri, Stefano Caracciolo, Riccardo Dalle Luche, Paolo Iazzetta, Ignazio Senatore