Giorni perduti

di Billy Wilder con Ray Milland, Jane Wyman Philip Terry , Doris Dowling, Howard Da Silva -  USA – 1945 – Durata 101’ – B/N -

 

Don Birman (Roy Milland) promettente scrittore non riesce a finire uno straccio di racconto e trascorre le giornate a bere come una spugna. Helen (Jane Wyman) la sua fidanzata e suo fratello Wick (Philip Terry) provano a convincerlo a partire con loro per un week end ma lui declina il loro invito e non vede l’ora di rimanere da solo in casa  per scolarsi un paio di bottiglie. Senza più il becco di un quattrino Don riesce a scovare dei soldi destinati alla paga settimanale della cameriera e va nel bar di Nat (Howard Da Silva) un barista paterno e comprensivo. Dopo aver raccattato qualche spicciolo in casa va nel bar di Nat (Howard Da Silva) ed inizia a bere un whisky dietro l’altro. Per rifare il pieno, elemosina qualche dollaro a Gloria (Doris Dowling) una prostituta, segretamente innamorata di lui e, successivamente impegna la sua macchina da scrivere. Il suo cervello va in panne ed è ricoverato in ospedale. Deluso e senza speranze, Don ritorna a casa e decide di farla finita ma sopraggiunge Helen che lo dissuade. Nel finale consolatorio, Don si lascia alle spalle i demoni dell’alcol, ritrova la fiducia in se stesso e riprende a scrivere.

Wyler traspone sullo schermo il romanzo di Charles Reginald Jackson e, come recita il titolo originale, ambienta la vicenda nell’arco di un weekend. Sin dalle prime battute Don è mostrato come un uomo, solo e disperato che cerca di affogare la propria disperazione nell’alcol. Né l’amore di Helen, né le discrete attenzioni di Gloria riescono a distoglierlo dal suo progetto autodistruttivo e per tutto il film è alla disperata ricerca di soldi per poter comprare qualche bottiglia da scolare. I dialoghi sono molto curati ed al fido Nat, Don confessa:“Bere scarica la mia zavorra e il mio spirito si libra in volo. Sono al di sopra di tutto.  Mi sento bravo, molto bravo. Cammino sulla fune sopra le cascate del Niagara. Mi sento un grande uomo. Sono Michelangelo che modella la barba di Mosè, Raffaello che dipinge Dio…Giulio Cesare e Napoleone insieme. Io sono Shakespeare. E qui fuori non c’è la terza strada ma c’è il Nilo e sulle sue acque azzurre naviga la barca di Cleopatra….” E quando Nat gli chiede perché beve al mattino, si sente rispondere: “Parli come un bambino. Non si tronca così. Quando si è nel carosello bisogna fare tutto il giro, girare, girare, finché la musica diventa più lenta, poi si sfiata e all’improvviso si ferma. Bisogna fare tutto il giro.  E’ proprio al mattino che se ne ha bisogno. Di notte fa piacere bere. Di mattina è una medicina,”

Il film si apre emblematicamente con una bottiglia che penzola dalla finestra e sottolinea come Don, pressato dal fratello e dalla fidanzata, per non farsi scoprire aveva nascosto in casa qua e là delle bottiglie. Con maestria Wilder ci mostra come il protagonista, con la mente sempre più annebbiata, si affanni a ricordare dove ha occultato le sue scorte.

Wilder non lesina qualche piccolo intervento dal sapore moralistico e lascia che l’infermiere della clinica dove Don è ricoverato lo metta in guardia sugli attacchi di delirium che assaliranno di notte gli altri pazienti: “Più tardi ci sarà spettacolo…Potrebbe darle ai nervi. Avete delirio la notte? Lo avrete, facciamo una scommessa? Siete ancora un novizio. Aspettate a secondo anno e vedrete se non verrà il delirium tremens. Si vedono piccoli animali, minuscoli tacchini con una paglietta in testa; scimmie nane che entrano dalle serrature. Vedete quello laggiù lui vede gli scarafaggi che gli si arrampicano addosso. Ci vuole il buio però. Il deliro è un esaltazione notturna. Buona notte.”

Non mancano i momenti di sottile ironia ed il regista ci mostra Don che va all’opera a vedere  Il barbiere di Siviglia e mentre sul palcoscenico cantano “Brindiam, brindiamo..” un attore, vestito da cameriere, continua a versare da bere.  Da antologia le terrificanti allucinazioni che colpiscono Don; in preda al delirium tremens vede un topo in una feritoia del muro ed, un attimo dopo, un pipistrello che azzanna il roditore. 

Il film è ammantato da in bianco e nero da antologia, l’ambientazione è cupa ed i dialoghi sono limati alla perfezione. Per pressioni ricevute dalla produzione Billy Wilder trasforma l’omosessualità del protagonista nella crisi dello scrittore attanagliato dal terrore della pagina bianca.  Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1946. Oscar nel 1945 come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore protagonista (Roy Milland).

 

 

Stralcio da “Vero come una finzione” Springer Editore – 2010 di Matteo Balestrieri, Stefano Caracciolo, Riccardo Dalle Luche, Paolo Iazzetta, Ignazio Senatore

 

 

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