I giorni dell’abbandono di
Roberto Faenza
Con occhi stanchi e pigri i critici presenti al Festival di Venezia lo hanno (ingiustamente) massacrato ed è scoppiata l’immancabile polemica. Mario, Olga, due dolci bambini ed il fido cane Otto sembrano la reclame della classica famiglia felice. Mario ha però un “vuoto di senso” e predilige alla moglie trentacinquenne, Gina, una donna più giovane di lei. Olga è confusa e smarrita ma spera che il marito, dopo la classica sbandata, torni sui propri passi. E quando comprende che il matrimonio è miseramente naufragato, l’apatia, l’angoscia e la tristezza iniziano a divorarla. Sarà grazie ad un musicista straniero, vicino di casa, che ritornerà a riprendere fiducia in se stessa e nella vita. Faenza avrebbe potuto dar fondo a tutti gli stilemi del melò e mostrarci la protagonista strangolata dalla disperazione, con il cuore sanguinante ed il viso costantemente rigato delle lacrime ma sceglie di intercettare quelle zone d’ombra che attanagliano l’animo umano, con disincanto e discrezione. Il dolore di Olga c’è, si sente e si percepisce ma il regista, sottrae, lima, trattiene, evitando di banalizzare la vicenda. L’inquieta ed inquietante figura della “poverella”, proiezione della parte malsana della protagonista, infonde un tocco surreale ed oniroide alla vicenda. Tratto dal romanzo di Elena Ferrante.
Recensione pubblicata su Segno Cinema - Numero 141 - Settembre- Ottobre 2006