Il gioco di Ripley (Ripley's game)

 

di Liliana Cavani con John Malkovich, Dougray Scott, Ray Winstone, Lena Headey, Chiara Caselli - Italia -  2002 – Durata 110’

 

Tom Ripley (John Malkovich) socio in affari di Reeves (Ray Winstone) un ricettatore senza scrupoli sta vendendo ad un mercante d’arte dei falsi disegni rinascimentali. Nel corso della trattativa, dopo una scazzottata, Tom uccide la guardia del corpo del mercante e dopo aver minacciato quest’ultimo con una pistola, intasca i soldi e porta via con sé i disegni. A Reeves non racconta nulla dell’accaduto e, dopo avergli dato la sua parte, lo intima di sparire. Tom vola in Italia con sua moglie Luisa (Chiara Caselli) una famosa musicista e compra in Veneto una villa palladiana. Ma Reeve dopo poco si rifà vivo e chiede a Ripley di fare un piccolo lavoretto per lui; bisogna eliminare un boss della mafia russa che gli sta pestando i piedi a Berlino. Ripley si tira fuori ma gli dice che Jonathan Trevanny (Dougray Scott), un corniciaio inglese, malato terminale di leucemia, suo vicino di casa, a corto di quattrini, potrebbe fare al suo caso. Reeves lo contatta e Jonathan, spinto dall’idea di assicurare un futuro economico alla moglie Sarah (Lena Headey) ed al figlio, dopo mille resistenze, accetta l’incarico e porta a termine al missione. Reeves ha altre gatte da pelare e chiede a Jonathan di eliminare un altro boss. Ripley ha intuito che Jonathan da solo non può portare a termine questa nuova  missione e, dopo avergli svelato la propria identità, si offre di stare al suo fianco. Ma qualcosa non va per il verso giusto e la mafia, dopo aver ammazzato Reeves, è sulle loro tracce. 

Liliana Cavani riporta sullo schermo il fortunato romanzo di Patricia Highsmith ma rispetto alla precedente trasposizione cinematografica (L'amico americano di Wenders del 1977) sposta l'azione dagli Anni Settanta ai giorni nostri, l’ambienta in Veneto e non negli States e sostituisce la mafia italiana con quella russa. Cavani predilige i ritmi ed i tempi del classico film d’azione e finisce per regalarci una pellicola dinamica ed accattivante ma meno dolente, intimista e disperata del regista tedesco. Il film non è essente da imperfezioni; i dialoghi sono un po’ troppo leziosi e, con il passare del tempo, l’incrollabile imperturbabilità di Ripley diventa troppo meccanica ed artificiosa. L’unico tocco di umanità che la regista regala all’enigmatico Ripley è quando, rintanato nella propria villa in attesa dell’arrivo dei killer, ingaggiati dalla mafia, a Jonathan confessa: “Quando ero piccolo ho aspettato sulla spiaggia i miei genitori che tornassero dalla solita gita in barca. Erano annegati. Potrei aspettare in eterno”.  L’amicizia che lo lega a Jonathan non è di quelle che stracciano le vesti ma rimane, per tutta la durata del film, silente e sottotraccia ed è suggellata dal vibrante ed inaspettato finale; nel corso di una sparatoria, Jonathan, per salvare la vita di Ripley, gli fa da scudo con il proprio corpo. Sullo sfondo l’intensa e toccante figura di Sarah.

 

 

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