I giochi dei grandi” di John Curran -2005

 

Jack Linden (Mark Ruffalo) insegna letteratura ed è sposato con Terry (Laura Dern) e padre di due deliziosi pargoletti. Hank Evans (Peter Krause) è docente di scrittura creativa nella stessa università del suo inseparabile amico; sposato con Edith (Naomi Watts) è il papà di una bambina biondissima. Le coppie si frequentano e di sera ascoltano dischi, chiacchierando e sorseggiando del vino. Tutto sembra perfetto; peccato che Jack abbia una storia con Edith. Terry è ancora innamorato del marito e, scoperto il tradimento, cerca disperatamente di riconquistarlo. Hank, così immerso nel lavoro non si cura delle scappatelle della moglie e col tempo finirà tra le braccia di Terry. E proprio quando le due coppie sembrano colare definitivamente a picco, un piccolo spiraglio sembra profilarsi all’orizzonte.La storia del cinema è piena zeppa di film che ti lasciano indifferenti. Quando ne incappi uno, all’uscita della sala non puoi fare altro che alzare il bavero del cappotto, pronunciare sottovoce qualche generica parolina di commento e lasciartelo alle spalle, come fosse una capricciosa pioggerellina d’agosto. Dopo la visione di “I giochi dei grandi”, opera prima del regista John Curran, la sensazione che ti rimane addosso è quella di smarrimento perchè non sai se hai gustato un piccolo capolavoro del cinema indipendente americano o se hai assistito all’ennesimo insipido dramma borghese, imperniato su due giovani coppie di coniugi in crisi. Urla, litigi, imbarazzanti silenzi, un paio di velate scene di sesso, un vagone di sensi di colpa ed una “invidiabile” tolleranza per i tradimenti dei rispettivi coniugi; c’è tutto questo nel film d’esordio del giovane regista americano. Peccato che Curran tralasci i dialoghi, prediliga le scene in interni e si affidi ad una scolastica contrapposizione delle due protagoniste femminili. Da un lato Edith, la classica moglie impeccabile, tutta smorfiette e sorrisini, che si muove in una casa luminosa, ben arredata e tenuta lucida come uno specchio; dall’altro lato Terry, una donna nevrotica ed instabile, afflitta da problemi economici, che si aggira in un appartamento buio dove regna solo disordine, polvere e confusione. Eppure a ben vedere, rispetto all’ inappuntabile e solare Edith, Terry è l’unica vera creatura pulsante di tutto il film. Una volta scoperto il tradimento del marito non solo gli urla in faccia il proprio amore ma non lascia il campo. Ed anche se finirà per cedere alle lusinghe di Hank, lo farà solo per dimostrargli che è ancora viva e che non vuole rinunciare all’idea di sentirsi amata. Nonostante le crepe narrative il regista sa dosare i tempi ed anche se la vicenda è attraversata da una senso di pesantezza e di frustrazione, non mancano alcuni piacevoli inserti che  stemperano la tensione. Come sempre accade, ogni qual volta  una coppia va a rotoli le vere vittime dei “giochi dei grandi” sono i figli, condannati ad assistere impotenti allo sfaldamento della famiglia. Ma sarà proprio quest’incapacità a tollerare la separazione dai suoi pargoletti che spingerà Jack a non mollare tutto ed a credere che, grazie al sostegno di Terry, il  loro matrimonio potrà essere ancora salvato. Peccato che il titolo in italiano non sia efficace come quello originale; quel “We don’t live here anymore” (in italiano “Non abitiamo più qui”) sintetizza in maniera egregia lo spaesamento, la solitudine, l’incomunicabilità e l’estrema sensazione di vuoto che attanaglia i protagonisti. In perfetta forma gli attori. Premiato al Sundance Festival di Robert Redford e tratto da due racconti di Andre Dubus.

 

Recensione pubblicata su  L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 10-05-2005

 

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