Gente comune (Ordinary people)

di Robert Redford con Donald Sutherland, Timothy Hutton,  Mary Tyler Moore, Judd Hursch - USA - 1980 - Durata 121’

 

Il sedicenne Conrad Jarrett (Timothy Hutton) ed il fratello maggiore Buck sono travolti in mare da una tempesta; il primo riesce miracolosamente a salvarsi ed il secondo è trascinato al fondo. Roso dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare il fratello maggiore, Conrad tenta il suicidio e dopo un ricovero di quattro mesi in una clinica per malattie mentali, ritorna a casa accolto affettuosamente dal padre Calvin (Donald Sutherland) e freddamente dalla madre Beth (Mary Tyler Moore). Conrad prova a riprendere gli allenamenti in piscina ma, sempre più apatico e demotivato, pianta tutto e va in terapia dal dottor Berger (Judd Hursch), uno psichiatra paterno ed accogliente, che prova a liberarlo dai suoi fantasmi. Beth, una donna severa, arida, impassibile ed impermeabile a qualsiasi emozione, lo tiene a distanza con i suoi enigmatici silenzi. Esasperato, Calvin le vomita addosso la rabbia che ha accumulato nel tempo; Beth se ne va di casa e Conrad e Calvin si abbracciano e si consolano a vicenda.

All’ esordio dietro la macchina da presa, Redford sceglie una narrazione scolastica, convenzionale ed a tratti lacrimevole, ambienta la vicenda a Chicago e descrive le difficoltà di un adolescente costretto ad incrociare ogni giorno lo sguardo della madre, una donna che lo tiene a distanza e non gli perdona di essere sopravvissuto al posto del suo adorato Buck. Timido ed introverso, senza grilli per la testa, per tutto il film, Conrad non riesce a tirare fuori la propria rabbia e nel descrivere lo sfilacciato rapporto con la madre, al dottor Berger confida: “Tra me e mia madre non c’è dialogo, non ci sente.  E poi cosa hanno in comune i ragazzi con le madri? Stronzate, stronzate superficiali come “Lascia la stanza, pulisciti i denti, studia le lezioni e così via.”. Calvin è il classico padre silenzioso e periferico ma è l’unico che prova, in qualche modo, a mantenere un filo diretto con il figlio e sul finale trova la forza di togliersi un peso che da tempo custodiva dentro e, rabbioso, chiede a Beth: “Possiamo parlare del funerale di Buck? So che ti sembrerà banale ma ce l’ho in testa perciò ne voglio parlare. Quando mi stavo vestendo per il funerale di Bick, io avevo indosso una camicia blu e tu mi hai detto: “Mettiti una camicia bianca” Io non ci feci caso in quel momento e per qualche ragione ci stavo pensando. Che differenza faceva cosa mettevo per il funerale di Buck? Ero stravolto quel giorno, andavamo al funerale di nostro figlio e tu ti preoccupavi di quello che avevo indosso!”. Sullo sfondo Karen, una ragazzina ricoverata in ospedale psichiatrico che si toglierà la vita e l’amaro commento dell’allenatore di nuoto di Conrad che, dopo aver saputo che in clinica era stato sottoposto a degli elettroshock, gli dice: “Io non sono un medico Jerry, ma ti assicuro che non avrei mai permesso che dessero una scossa al mio cervello”. Dall’omonimo romanzo di Judith Guest. Vincitore di quattro Oscar; miglior film, migliore regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista (Timothy Hutton).

 

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