Il gemello
Dopo aver
mosso i primi passi come fotografo sportivo e come aiuto regista di Martone e di
Bechis poi, Vincenzo Marra ha raccolto unanimi consensi di critica e di pubblico
con
Tornando a casa,
il film d’esordio
del 2001 ed il successivo
Vento di Terra del
2004. Più che per i virtuosismi legati all’uso della macchina da presa, Marra si
è imposto immediatamente all’attenzione degli addetti ai lavori per la capacità
di non diluire la narrazione con dialoghi vuoti e verbosi ma per l’uso di
silenzi carichi di intensa poesia e per la scelta di storie mai banali ma ricche
di struggente attualità. Acuto ed attento osservatore della realtà che lo
circonda, dopo i documentari
Una rosa prego e
La vestizione
del 1996 ed il successivo Estranei
alla massa girato,
nel 2001,
su un gruppo di Ultras del
Napoli, il talentuoso regista napoletano ha affinato il suo sguardo realistico
con
Paesaggio al Sud, girato nel 2003. “Ogni
regista ha la propria ossessione, il proprio pallino e se si va a vedere i suoi
film scopri che c’è chi è legato al discorso del padre, chi a quello del viaggio
o della terra, Io non amo le classiche storie borghesi dove i protagonisti sono
in crisi per l’amore o per il sesso ma sono affascinato dalle storie della mia
terra”, mi raccontò qualche tempo fa lo stesso regista.
Coerente al suo modo di intendere il cinema, Vincenzo Marra, dopo il
documentario L’udienza è
aperta del 2006, imperniato su un processo ad alcuni
camorristi del clan dei Casalesi, declina nuovamente, da un’altra angolazione,
lo spinoso tema della giustizia con il suo
Il Gemello, girato
interamente nel carcere circondariale di Secondigliano di Napoli e selezionato
per le prossime Giornate degli Autori di
Venezia. In bilico tra
fiction e documentario,
Il gemello prodotto da Gianluca Arcopinto, Marco Ledda,
Vincenzo Marra, Angelo Russo Russelli, ruota intorno alla vicenda di Raffaele,
un ventinovenne rinchiuso in carcere dall’età di quindici anni per una rapina in
banca, e del suo compagno d cella Gennaro, condannato all’ergastolo. Una storia
di toccante e dolorosa umanità che non scivola mai nel folklore, né rinverdisce
i lustri di una Napoli cialtrona e lazzarona, ambientata nel carcere di
Secondigliano letto come “seconda pelle” di Raffaele, come uno spazio fisico e
mentale, claustofilico e claustrofobico allo stesso tempo, dove spendere una
vita scandita da un tempo fermo e congelato.