Non tutti lo
ricordano. Matteo Garrone, il più acclamato regista italiano della nuova
generazione, ha mosso i suoi primi passi a Napoli. Questo accadeva qualche anno
fa e più precisamente nel 1998. Coadiuvato nella sceneggiatura da Massimo
Gaudioso e supportato dalla colonna sonora della Banda Osiris, Garrone
confezionò un documentario dal titolo: “Oreste Pipolo fotografo di matrimoni”.
“Quel progetto nacque da una commissione
di Carlo Cresta – Dino per
Di quella lontana esperienza napoletana
Matteo ha un ottimo ricordo ma s’intuisce, tra le righe che quell’esperienza era
un po’ lontana dalle sue corde emotive.
“Al tempo non avvenne quella cosa che sento
molto mia. Generalmente, quando costruisco un film mi piace scrivere sui luoghi
dove ambiento la storia. I luoghi, le persone mi offrono delle idee per
la sceneggiatura ed i personaggi che incontro entrano a far parte della storia.
La sceneggiatura è un punto di partenza che viene poi sviluppato. L’idea
dell’oro che è presente in “Primo amore” non l’avrei mai sviluppata se fossi
rimasto a Roma. Vivendo a Vicenza, sentendo parlare Trevisan che era sposato con
un’orafa mi sono sempre più sentito attratto dal mondo degli orafi.”
Garrone qualche
anno dopo è ritornato sul “luogo del delitto” ed avvalendosi di due straordinari
attori napoletani, il giovane Valerio Foglia Manzillo ed il collaudato Ernesto
Mahieux, ha poi ambientato “L’imbalsamatore” tra il litorale casertano e il
Villaggio Coppola. Primo dei suoi film “maledetti”, ha collezionato una messe di
premi e raccolto un largo consenso di pubblico. Simpatico, pronto alla battuta,
Matteo è dotato di una dote straordinaria. Invece di trincerarsi dietro difese
d’ufficio o dichiarazioni di facciata, si spinge sempre al di là del limite e
rilegge, con un estremo senso critico le sue passate esperienze
cinematografiche.
Come definiresti “Primo amore”, il suo
ultimo film presentato al Festival di Berlino ed osannato dalla critica? Mi
sembra sia da leggere come un chiaro riferimento al fatto che in ogni rapporto
di coppia ci sia sempre una logica "vampiresca", di potere e di soggiogamento
dell'altro…Non a caso, all'inizio del film c'è una citazione al Nosferatu di
Murneau...
“E' un film molto scarno che richiede allo spettatore uno sforzo maggiore rispetto a "L'imbalsamatore"..."
Come ne "L'imbalsamatore" parti da un
evento di cronaca...Che differenze ci sono rispetto al dato di realtà?
“Lui aveva messo un annuncio in cui cercava una
donna magra. Lei risponde all'annuncio ma non è così magra come lui si
aspettava. Avevo anche pensato a mettere una voce off dover lui telefonava al
giornale e dettava l'annuncio. Poi ho pensato che fosse superfluo....Rispetto
all'episodio della vita reale lei colpisce lui, che non muore (infatti nel film
si vede lui che si muove...) Lei chiama i soccorsi. Lui è ricoverato in ospedale
e lei agli arresti domiciliari per un anno... E quando esce, lui riesce a
rivederla, le propone di vivere insieme, lei non accetta e lui la
uccide...Rispetto agli episodi della vita reale mi sono fermato ad un anno prima
ed anche qui è stata una scelta molto dibattuta rispetto alla prima stesura...
La prima stesura era costruita su due piani; sul piano del passato e del
presente e partiva con lui in ospedale che riapriva gli occhi e chiedeva di
lei... E poi attraverso questa sua ricerca di lei, entrava la sua storia d'amore
come un lungo flashback... Poi abbiamo preferito cambiarlo anche perché si
perdeva la scena madre di lei che lo colpiva e poi il finale... Quando ho girato
la scena di lui sdraiato, in mezzo al sangue ed in mezzo a tutta la roba da
mangiare, mi sembrava una scena così forte, conclusiva che sarebbe stato
difficile immaginare una scena successiva. E poi il film, rispetto alla prima
stesura, era ancora più centrato su d lui, invece noi sentivamo il bisogno di
raccontare più lei. Mi accorgo, durante gli incontri che ho fatto che mentre è
chiaro il discorso psicologico suo, per molti spettatori è molto più
incomprensibile perchè lei accetta questo gioco al massacro... Può darsi pure
che mi accorga che avrei dovuto aggiungere qualche motivazione in più. Forse è
un volersi rassicurare e voler sapere che c'è un perché. Spesso questo perché è
molto più nascosto, più vago, più incomprensibile di una motivazione. Nel film
lasciamo lo spazio per un'interpretazione che ognuno dà...ma poi mi sembrava di
cadere in un elemento più didascalico.”
Come è nata l'idea di lavorare con
Trevisan che è uno scrittore...
"In partenza avevo iniziato a lavorare
con Massimo Ammanniti e con Massimo Gaudioso (con cui avevo scritto
"L'imbalsamatore"). Poi sono stato a Sant'Arcangelo, dove Vitagliano è stato
premiato con il suo libro"Quindicimila passi" come miglior romanzo dell'anno.
L'ho sentito leggere e mi ha colpito la sua ironia, il suo aspetto così duro,
glaciale...Mentre Michela è un attrice di teatro, Vitagliano era granitico.
L'idea è nata quasi subito...Ho chiesto a Vitagliano di collaborare ad una
sceneggiatura. Lui ha detto non l'ho mai fatto ma mi piacerebbe. Io sentivo
l'esigenza di ambientarlo e di scriverlo nel Nord Italia e con Niccolò abbiamo
deciso di non continuare a lavorare insieme. Era importante il Nord Italia (il
fatto è ambientato a Brescia...) perché il personaggio, seppur vittima di questa
sua ossessione-perversione è alla ricerca di una stabilità sia sentimentale che
lavorativa ed in quei luoghi lì, se non riesci ad aver successo nel lavoro, a
non avere una famiglia, il senso d'emarginazione è ancora più grande e quindi
quel fondale lì era importante rispetto ad altre parti d'Italia. Vitagliano era di Vicenza e per semplificare ci siamo detti: perchè non
ambientarlo lì. Poi era stato sposato due anni con un orafa e mi aveva
raccontato di questo mondo dell'oro e mi è sembrato visivamente molto bello.
Nella realtà, il personaggio della cronaca era un antiquario...
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)