Per un profilo psicologico di Giuseppe
Garibaldi
1.Introduzione
La teoria psicoanalitica è
stata spesso applicata al di fuori della sfera clinica ed il suo campo di
maggiore applicazione è stata orientata a comprendere le connessioni tra la vita
dell'artista e le sue opere. Martha Wolfestein, ad esempio, analizzando i quadri
di Magritte, individuò un tema ricorrente caro al pittore belga: in molti
dipinti i volti dei personaggi ritratti erano coperti da una stoffa, da un telo.
2. Il nucleo familiare di Giuseppe
Garibaldi
La psicoanalisi fonda il suo
edifico teorico sulle interpretazioni dei sogni che il paziente porta in seduta
e sulla ricostruzione, nel corso del lavoro clinico, degli eventi più
significativi accorsi nel corso dell'infanzia del paziente. Se rileggiamo la
vita di Garibaldi sembrerebbe che nessun "life-event" particolarmente traumatico
abbia sconvolto la sua esistenza. Sappiamo che il padre e la madre di Garibaldi
hanno avuto sei figli, due femmine, morte entrambi in tenera età e quattro
maschi. Giuseppe è il secondogenito e a sedici anni partirà per il suo primo
imbarco ufficiale. Gli altri fratelli andranno via da casa in cerca di lavoro e
si trasferiranno il primo a Filadelfia e l'ultimo a Bari. Il terzogenito diventa
capitano marittimo. Si rivedranno di rado e tra loro vi sarà quasi
esclusivamente un rapporto epistolare. A parte questo "sfilacciamento
"familiare, gli storici non riportano, dunque, eventi che avrebbero sconvolto la
tranquilla esistenza del giovane Giuseppe. Lo stesso Garibaldi, nelle "Memorie",
del resto, afferma: "Io ho passato il periodo dell'infanzia come tanti
fanciulli, tra i trastulli, le allegrezze e il pianto…Nulla di strano nella mia
giovinezza". Non avendo altri elementi utili per un approfondimento
di questo filone, dobbiamo, quindi, ritenere il contesto familiare di Giuseppe
Garibaldi, sufficientemente sano e protettivo.
3. Per una psicopatologia
degli eroi
Sin dai primi poemi epici
("L'Iliade", "L'Odissea"…), i poeti, gli scrittori e gli storici ci hanno
tramandato le imprese di eroi, siano stati essi vincitori o vinti. L'eroe veniva
descritto come un individuo che possedeva, generalmente, una grande maestria
nell'uso delle armi, sprezzo dal pericolo, carisma ed un innato senso di
giustizia. Spesso le vicende narrate sottolineavano come, chi al comando di una
guarnigione militare o di un intero esercito, avesse spesso, sacrificato la vita
di migliaia di uomini, per accrescere soltanto la propria sete di gloria e di
potere. Da un punto di vista psicoanalitico, tali patologie potrebbero essere
inquadrate come:
a): Disturbo delirante di
tipo megalomanico
Chi è affetto da questo
disturbo mostra un quadro sintomatologico caratterizzato dalla convinzione di
essere dotato di straordinari poteri. Il suo assetto psicopatologico lo
spingerebbe a nutrire una parte "insaziabile", vorace ed ipertrofizzata della
propria personalità che lo spinge ad affrontare qualsiasi avversità. Ritenendosi
"invincibile" è spinto a non valutare, su un piano concreto, i dati di realtà.
b) Disturbo narcisistico di
personalità
Chi è affetto da questo
disturbo mostra un quadro sintomatologico caratterizzato da un quadro pervasivo
di grandiosità. Il soggetto è assorbito da fantasie di illimitato successo,
potere, fascino, bellezza. Crede di essere speciale, unico ed ha
un'irragionevole aspettativa di una soddisfazione immediata delle proprie
aspettative ed un patologico bisogno di essere ammirato.
Per un orientamento
diagnostico di Giuseppe Garibaldi
Se dovessimo rileggere le
vicende umane, storiche e politiche di Giuseppe Garibaldi, alla luce delle
patologie precedentemente descritte, credo che Garibaldi non possa essere
inquadrato come un soggetto affetto da un "disturbo delirante di tipo
megalomanico". Che Garibaldi fosse, altresì, immune da un "disturbo narcisistico
di personalità", ci viene confermato dal fatto che Garibaldi, "l'eroe dei due
mondi", pur essendo al tempo, uno dei personaggi più acclamati e popolari del
Vecchio e del Nuovo Continente, se fosse stato affetto da questa patologia
avrebbe, certamente, ottenuto un maggiore successo personale, sia economico che
politico. Volendo, inquadrare necessariamente la figura di Giuseppe Garibaldi
da un punto di vista psicologico, potremmo ipotizzare che lo stesso possa essere
inquadrato all'interno di qualche altra categoria diagnostica.
La nikefobia
Alcuni psicoanalisti hanno
descritto la "nikefobia", una modalità psicologica, per certi aspetti opposta a
quelle precedentemente descritte. Le geste e le vicende di un valoroso
condottiero del passato possono illuminarci su questa patologia. Annibale Barca,
il famoso condottiero cartaginese, dopo aver attraversato le Alpi con il suo
esercito e sessantaquattro elefanti, prima di sferrare l'ultimo ferale attacco a
Roma, sostò per un lungo periodo a Capua. Gli storici raccontano che Annibale
dovette arrestare la sua avanzata perché era consapevole di non avere gli uomini
sufficienti per tentare di espugnare una città, protetta da mura saldissime ed
invalicabili. Come narra la storia, Annibale dopo quella lunga sosta a Capua,
non coronò mai i suoi desideri di vendetta nei confronti dei romani; dovette
ripiegare e dopo essere stato sconfitto nella battaglia di Canne, abbandonò
l'Italia, fino a darsi la morte a sessantaquattro anni. La rilettura storica
appare inattaccabile e certamente tiene conto degli aspetti di realtà.
Cionostante, uno psicoanalista potrebbe avanzare l'ipotesi psicologica che una
spinta inconsapevole abbia bloccato Annibale proprio quando egli era sul momento
di annientare la potenza romana. Uno psicoanalista potrebbe avanzare l'ipotesi
che, al di là dei dati di realtà, Annibale, fosse stato attanagliato da quella
che, in termini psicodinamici, viene definita "n
nikefobia", la paura della
vittoria. Sarebbe corretto avanzare la stessa ipotesi per Giuseppe Garibaldi?
La storia narra che il nizzardo, dopo aver conquistato
Garibaldi, Cincinnato e i
tratti "dipendenti di personalità
“Giacchè mi chiedete ciò
che io voglio, ve lo dirò: qui io posso esistere per il bene della Repubblica
che in due modi: o dittatore illimitatissimo, o milite semplice" (Lettera a
Mazzini – 1849)
“Abbenchè nato
rivoluzionario, io non ho mai mancato, quando necessario, di sottopormi a quella
disciplina necessaria, indispensabile alla buona riuscita di qualunque impresa,
e sino dal tempo ch'io m'ero convinto dover l'Italia marciare contro Vittorio
Emaneuele, per liberarsi dal dominio straniero, io ho creduto un dovere
sottomettermi agli ordini suoi a qualunque costo, anche facendo tacere la
coscienza mia repubblicana.”
“Tutte le volte che quel
dualismo ha potuto nuocere alla gran parte del paese, io ho piegato, e piegherò
sempre" (Discorso alla Camera del 18 aprile 1861)
Leggendo queste
dichiarazioni di Garibaldi, quello che colpisce maggiormente è la sua ossequiosa
obbedienza nei confronti dei suoi interlocutori. E questa sua disposizione
all'essere nell'ombra, quel suo "piegarsi" al senso dello Stato, ci rimanda ad
un'altra figura del passato, a quel Lucio Quinzio Cincinnato, che, dopo aver
sconfitto gli Equi, se ne ritornò al proprio podere, sdegnando ogni onore.
Volendo ipetrofizzare i tratti di dipendenza di Garibaldi, c'è chi potrebbe
leggere questo suo declinare ad altri decisioni politiche che, in ogni caso lo
avevano visto come protagonista, questa sua disposizione alla "cieca"
obbedienza, questo suo non ribellarsi mai ai suoi interlocutori politici, questo
suo accettare "passivamente" una serie di cocenti umiliazioni, come un segno
inequivocabile di un suo tratto "dipendente di personalità”.
Assetto psicosomatico
Volendo restare sempre nel
campo delle ipotesi psicodinamiche, si potrebbe ipotizzare che la patologia
(l'artrite) di cui soffriva Garibaldi era una sua modalità "psicosomatica" di
tradurre il dolore mentale in fisico, di convogliare nel corpo tutte le cocenti
delusioni ed umiliazioni subite negli anni.
Conclusioni
Sui banchi di scuola abbiamo
imparato che ogni popolo ha il proprio eroe nazionale. Per quanto possa sembrare
paradossale, l'Italia, un paese che ha dato i natali a santi, artisti e
navigatori, non annovera tra e sue fila un eroe nazionale, un Che Guevara, che
infiammi e compatti le folle. Per l'immaginario collettivo, Giuseppe Garibaldi è
stata, nel bene o nel male, l'unica figura nazionale che abbia, incarnato questo
ruolo. E' innegabile, altresì, che se Garibaldi fosse morto su un campo di
battaglia, la sua figura sarebbe stata ammantata maggiormente di un alone
mitologico e divenuta oggetto di culto. Ai feroci detrattori di Garibaldi,
vorrei dedicare queste annotazioni di Sigmund Freud: Chi ha interesse ed
ammirazione per un grande uomo tende ad idealizzarne la figura e non tollera
quindi che siano in lui rilevati elementi suscettibili di venir considerati
residui di debolezze o di imperfezioni umane." ("Un ricordo d'infanzia di
Leonardo da Vinci"- 1910)
Articolo comparso sul volume “Processo a
Garibaldi” – Luglio 2003