Greta Garbo
Il dettagliato volume di Maria Grazia Bevilacqua offre un esauriente rilettura della vita privata e professionale della Divina, descritta come una donna triste, sola, infelice, con scarse relazioni affettive ed ossessionata sia in campo sociale che lavorativo. Garbo pretendeva che i suoi set fossero circondati da paratie, in modo da escludere gli sguardi dei curiosi. Elettricisti, attrezzisti, macchinisti non potevano essere sul set mentre lei era ripresa. Voleva sapere quanti e chi fossero gli invitati; se arrivando trovava uno sconosciuto se ne andava. Se un suo amico parlava di lei ad altri era cancellato dalla sua corte. Prima di ritirarsi nel 1941 dalle scene all’età di 36 anni Greta Garbo non concesse mai un intervista, non partecipò mai ad una prima di un suo film, non si lasciò fotografare da riviste e giornali, né firmò un autografo. Algida, scontrosa, avara, tormentata da un complesso di inferiorità nei confronti degli attori di teatro, rinchiusa nel suo mondo emotivo non amava la mondanità, né i riflettori dei paparazzi; quando nel 1955 le attribuirono l’Oscar alla carriera non andò a ritirarlo, né inviò un telegramma di scuse. Greta Lovisa Gustafsson (era questo il suo vero nome) nacque da una modesta famiglia svedese e a 14 anni dovette abbandonare gli studi perché il padre era affetto da una grave malattia renale. Notata da Mauitz Stiller che le fece da Pigmalione, Garbo riuscì a superare la tempesta del passaggio dal muto al sonoro, inanellando una serie di interpretazioni che entrarono immediatamente nella storia del cinema. Come è noto il cinema si basa sulla serialità, sulla ripetizione, su quello che viene chiamato in gergo “marche di riconoscibilità” (in un western deve esserci un saloon, una prigione, uno sceriffo, in un film di horror ci deve essere uno o più omicidi). Fedeli a questi principi i film della Garbo erano facilmente riconoscibili dal grande pubblico: le ambientazioni dei film che interpretava erano per lo più aristocratiche e sfarzose (Grand Hotel…) i personaggi che le ruotavano intorno appartenevano al bel mondo (conti, duca…) e lei vestiva spesso i panni dell’eroina straniera e sofferente a cui era negata l’amore (Mata Hari, Maria Waleska, Margherita Gauthieur, La regina Cristina, Ninotcha, Anna Karenina…). Si sono scritti fiumi d’inchiostro sui motivi che hanno spinto Greta Garbo ad abbandonare le scene. Proverò a fornire la mia personale interpretazioni sulle cause che hanno condizionato tale scelta.
a) Il 1941 è un anno particolarmente denso di significati. Iniziavano a serpeggiare, infatti la disillusione del crollo del 29 e del “Sogno americano” e s’affacciavano in America gli echi dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Di fronte a questi fantasmi Hollywood reagisce producendo pellicole di vario genere; le commedie demenziali (Gianni e Pinotto) i “saron movie” (il saron è un pareo, veste tipica delle isole salesiane, e diventa il simbolo dei film esotici, ambientati alle Haway con Dorothy Lamour, Esther Williams, Hedy Lamar) ed il noir, genere che attinse la propria vena ispiratrice agli scrittori della Hard-boiled school (Chandler, Hammet, Cain, Woolrich e che produce in quell’anno un capolavoro come Il mistero del falco). I protagonisti di queste pellicole erano dei “loser”, dei perdenti (gli investigatori privati, i comuni cittadini) dei soggetti incapaci di mutare il corso del destino e trascinati nel vortice delle passioni dalla dark lady di turno. Quelle storie ambientate nelle città americane e non più nelle lontane e sperdute località dei film interpretati della Garbo (Russia, Svezia, Francia) iniziarono a riscuotere sempre più un enorme successo nel pubblico che si identificava con questi personaggi, piegati dal destino.
b)
c) Fatta eccezione per
Lubitsch (Ninotchka) e per Cukor (che realizzò Margherita Gauthier ma anche il
pessimo “Non tradirmi con me” (film che per il suo flop spinse
Stralcio dalla presentazione del volume: "Greta Garbo" di Maria Grazia Bevilacqua (Baldini e Castoldi) - 21 Febbraio 2004 - Napoli