Freedom writers

di Richard LaGravanese con Hilary Swank, April Lee Hernandez, Vanetta Smith, Sergio Montalvo, Deance Wyatt - USA - 2007 – Durata 127’

 

Ad Erin Gruwell (Hilary Swank) giovane e determinata insegnante di lettere, al suo primo incarico in un liceo di Long Beach, lacerato dalle tensioni razziali, affidano una classe difficile composta da studenti afroamericani, asiatici e latinoamericani tra cui spiccano Eva Benitez (April Lee Hernandez) Brandy (Vanetta Smith) Alejandro Santiago (Sergio Montalvo), Jamal (Deance Wyatt). Superate le diffidenze iniziali, la professoressa riesce ad attirare l’attenzione degli studenti sottolineando l’importanza della tolleranza e del rispetto dell’altro. Dopo aver fatto ascoltare in classe una canzone rap, accenna loro agli orrori dell’Olocausto e li invita a leggere Il Diario di Anna Frank. Gli studenti sono così coinvolti da quella dolorosa vicenda che Erin li invita a scrivere una lettera a Miep Gies, la donna che ha aiutato Anna Frank a nascondersi. Per ascoltare dalla sua viva voce i ricordi di quella terribile esperienza, gli studenti organizzano una festa e con il ricavato invitano Miep Gies nella loro scuola. Sempre più attratti dalla scrittura gli studenti prendono il nome di “freedom writers” e pubblicano le loro storie. Il corpo docente non vede di buon occhio la didattica alternativa proposta dalla giovane professoressa e le mette i bastoni tra le ruote. Erin vincerà però la propria battaglia e, ribaltando gli atavici regolamenti, continuerà ad insegnare in quella classe anche negli anni successivi. Nei titoli di coda si legge che il diario degli studenti è stato pubblicato nel 1999 e che insieme hanno costituito la fondazione “Freedom writers” tesa a ricreare l’identico esperimento didattico nel paese.

Ispirato a una storia vera il regista ambienta la vicenda nel 1992, dopo l’esplosione degli scontri razziali che avevano funestato Los Angeles. L’inizio sembra promettere fuoco e fiamme e le lotte tra le diverse etnie per il controllo del territorio lasciano presagire una trama più graffiante e meno sdolcinata. Nel descrivere il clima nel quale gli studenti sono costretti a vivere, Eva, commenta: “La scuola è come la città e la città non è altro come la galera. La città è divisa in zone separate a seconda delle tribù; c’è la piccola Cambogia, il ghetto nero, il paese dei latticini e noi, a sud del confine. Così stanno le cose, lo sanno tutti. E poi ci sono i ragazzini che si atteggiano. pretendendo un rispetto che non si sono guadagnati. Praticamente succede così; una tribù sconfina silenziosa in un altro territorio senza rispetto, rivendicando quello che non le spetta. Chi guarda da fuori non potrebbe mai accorgersene ma noi lo sentiamo. Stava per succedere qualcosa.”  Dopo qualche scena le tensioni sociali sono messe al bando e gli studenti che, inizialmente, urlavano “Siamo in guerra”, “E’ tutta una questione di colore” si trasformano in docili agnellini che, a turno, regalano le loro languide e lacrimevoli confessioni. In questa sagra dei luoghi comuni, spudoratamente dalla parte dei bianchi e piena zeppa di retorica a buon mercato, Erin finisce per trascurare il giovane marito, un architetto alla ricerca di se stesso e litigare con il padre, un ex progressista che, con il passare degli anni, ha cambiato bandiera e devoto al dio denaro, vorrebbe che lei raggranellasse solo più soldi possibili. L’ingresso in cena di Miep Gies è toccante ma il raccordo che lega la drammatica vicenda di Anna Frank alle tematiche che dilaniano gli studenti afroamericani, asiatici e latinoamericani sembra tirato per i capelli.

 

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