The dreamers"
di Bernardo Bertolucci
– 2003
Cinema ovvio e
delle storie narrate: Thèo ed Isabelle (due gemelli) conoscono un giovane
coetaneo americano (Matthew) con il quale condividono la passione cinefilica ed,
in assenza dei genitori (in vacanza a Trouville) lo invitano a trasferirsi a
casa loro. E mentre si assiste alla relazione morbosa tra i due gemelli, Matthew
s’innamora, ricambiato della ragazza... Sesso, cinefilia e torbide passioni,
film scandalo sulla sessualità come fuga dalla realtà, sugli intrecci incestuosi
tra Thèo ed Isabelle, sulle rivolte studentesche del 68 francese…
Cinema dell’altrove e dei percorsi immaginari della mente: metacinema e/o cinema
sul cinema e nel cinema:
“La prima volta che ho visto un film alla Cinematheque Francaise …Il film era
“Il corridoio della paura” di Sam Fuller. Avevo vent’anni. Ero venuto a Parigi
per studiare francese….La massoneria dei cinefili, quelli che chiamano “malati
di cinema”…Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono, in prima
fila, vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicini? Forse perché
volevamo ricevere le immagini per prima quando erano nuove, ancora fresche,
prima che svolgessero verso il fondo, scavalcando fila dopo fila, spettatore
dopo spettatore, finché sfinite, ormai usate, grandi come un francobollo, non
fossero ritornate nella cabina di proiezione. Forse, lo schermo era veramente
uno schermo; schermava noi.”
“The dreamers” (primo film dal titolo in inglese del regista parmense) è tutto
condensato in questo incipit. Film sui desideri insaziabili degli spettatori
cinematografici, sul bisogno di divorare e di nutrirsi d’immagini. Bertolucci,
giunto alla sua sedicesima pellicola proclama la propria poetica cinematografica
(come “8 e mezzo” lo fu per Fellini, “Stardust memories” per Allen) e non può
che farlo alla sua maniera (romantica, dissacrante, scandalosa).
Film sull’educazione alla visione di un film dello spettatore cinematografico
(non a caso, la prima penitenza che Isabelle fa compiere a Thèo è quella di
masturbarsi da solo di fronte ad un’immagine filmica (la foto di Marlene
Dietrich) e che la successiva (imposta da Thèo a Matthew ed Isabelle) sia quella
di condividere l’esperienza amorosa (filmica) con un altro). Film sulla
verginità di uno sguardo che, inevitabilmente, verrà perso (la verginità
d’Isabelle non è certo quella sessuale ma quella di spettatrice) e
sull’immancabile voyeurismo cinematografico:
“Ho letto sui “Cahiers” che un regista è come un guardone, un voyeur. E’ come
se la macchina da presa fosse il buco della serratura della porta dei suoi
genitori e tu li spii e sei disgustato e ti senti in colpa e non puoi fare a
meno di guardare. Forse il film è un reato, un regista è come un criminale.
Dovrebbe essere illegale.”
Film arcaico, primitivo e delle origini (non a caso le citazioni
cinematografiche rimandano al cinema muto ed in bianco e nero di Chaplin, di
Keaton ed al Bunuel de “L’age d’or” (Matthew succhia l’alluce ad Isabelle come
Lya Lys a quello della statua).
Cinema-memoria, fetale, placentare (i tre giovani protagonisti sono ritratti
nella vasca-utero) afasico, non ancora dotato della parola e del colore.
Bertolucci, con astuzia e sagacia, dissemina (sottotraccia) questi indizi lungo
il percorso filmico ma gioca contemporaneamente a negarli e a disconfermarli,
offrendo allo spettatore la facile via di fuga della storia narrata. Film
sotterraneo e non di superficie, film sulle ridondanze ininterrotte: Bertolucci
ritorna a Parigi (dopo “Il conformista” e “L’ultimo tango”), gira un altro film
in un appartamento (dopo “L’ultimo tango” e “L’assedio”), ripropone il tema
dell’incesto (“La luna”) del doppio e sugli specchi (ne “La strategia del
ragno”, “Partner”, “Ultimo tango a Parigi”, “Novecento”…) e rinnova le sue
stesse citazioni cinematografiche (“Non esiste l’amore, esistono solo prove
d‘amore” già citata in “Io ballo da sola”). Ma “The dreamers” ripropone ancora
altre poetiche care al regista: film sul padre (“La strategia del ragno”, “Il
conformista”. “Ultimo tango a Parigi”, “Io ballo da sola”…) sulla poesia (il
padre di Thèo ed Isabelle è un poeta come era lo stesso regista, vincitore a
vent’anni di un Premio Viareggio, figlio di Attilio) e che trae ancora
ispirazione da un romanzo (“La comare secca” da Pasolini; “Partner” da “Il
sosia” di Dostoevskij; “Strategia del ragno” da “Tema del traditore e dell’eroe
“ di Borges; “Il conformista” da Moravia; “Il tè nel deserto” da Bowles;
“L’assedio” da Lasdun).
“Che film è?”, il refrain del gioco che i tre protagonisti ripetono in
continuazione nel film, sembra essere provocatoriamente la sfida che Bertolucci
lancia allo spettatore.
Cinema come delizia e nutrimento degli occhi, lontano dai ripiegamenti
nostalgici e melanconici di un certo cinema retrò.
Film-gioco (quale spettatore non ha provato ad indovinare da quale film era
tratta la citazione e non ha pensato a Vincente Gallo che in “Arizona Dream” di
Kustirica riproponeva le scene di Intrigo internazionale di Hitchcock?).
Film bugiardo e spiazzante (le clip citate de “Il corridoio della paura”, “Freaks”,
La regina Cristina”, “Cappello a cilindro”, “Venere bionda”, “Mouchette”, “Il
cameramen”, “Scarface”) non rimandano ai registi-cult di Bertolucci.
Film sulle dicotomie obbligate (Chaplin/Keaton…) e sugli immancabili tradimenti
del testo (pur attingendo fedelmente al romanzo "The holy innocence" di Gilbert
Adair, co-sceneggiatore del film, Bertolucci tace sull’omosessualità di Matthew
e sulla sua successiva morte…). Film sulle declinazioni impossibili tra il
cinema europeo (quello di Thèo ed Isabelle che dirigono i giochi e che dettano i
tempi del film) e quello americano (Matthew). Cinema che diverge,
inevitabilmente, sul finale del film (quello europeo più attento alle tematiche
sociali e alla “lotta di classe”, che “scende in piazza”) quello americano
pragmatico, razionale e concreto.
Film assolutamente immerso nel presente ma che rimanda, inevitabilmente, a
quell’ambizione eroica ed adolescenziale di un tempo remoto quando si pensava
che il cinema potesse (come il 68) trasformare e contagiare il mondo e compiere
una radicale trasformazione dell’animo umano.
I tre giovani protagonisti Matthew ( Michael Pitt, musicista e cantante, già
visto in Bully di Larry Clark e divo della serie tv Dawson's Creek) Thèo (Louis
Garrel, figlio del noto regista francese Philippe) Isabelle (l’esordiente Eva
Green, figlia dell’attrice Marlene Jobert) sono disarmanti nella loro bravura.
Cinema, musica per gli occhi, con alcune scene da cineteca (Isabelle che appare
come
Intenso, struggente, coinvolgente. Onirico, ipnotico, film sui graduali
spostamenti della coscienza. Dedicato a chi sa ancora sognare.
Recensione pubblicata sulla Rivista
"Eidos- Cinema, Psiche ed arti visive" Numero 0