Don
Juan de Marco- Maestro d'amore
di Jeremy Leven
"Mi chiamo Don Juan de Marco. Sono il figlio del grande spadaccino
Antonio Garibaldi de Marco, che é stato tragicamente ucciso per difendere
l'onore di mia madre, la "muy hermosa" donna di Santiago di San Martino. Io sono
il più grande amatore del mondo. Ho fatto l'amore con più di mille donne. Ho
compiuto ventun anni martedì scorso. Nessuna donna ha lasciato le mie braccia
insoddisfatta. Solo una mi ha rifiutato e come vuole la sorte é l'unica che
abbia mai contato per me. Ecco perché, all'età di ventun anni mi sono
determinato a porre fine alla mia vita...ma prima un'ultima conquista..."
Chi é quest'insolito personaggio, che
compare sullo schermo, vestito con un lungo mantello nero e con in volto una
maschera che gli copre gran parte del viso? Chi si cela dietro questo giovane
dal bell'aspetto? Chi, se non il più grande amatore della terra? Ma cosa spinge
questo giovane a salire su un tabellone pubblicitario e a chiedere di voler
morire per mano di un fantomatico Don Francisco, valoroso e famoso spadaccino?
Sarà il dr. Mickler, un esperto psichiatra che lo dissuaderà dal compiere
l'insano proposito e che successivamente lo ricovererà, per un periodo
d’osservazione, in un ospedale psichiatrico. Nel corso dei colloqui, Don Juan
narrerà la sua storia, ricca d'incredibili ed avventurose vicende che si
dipanano a partire la morte del padre, perito in un duello per mano di chi,
mentendo, aveva dichiarato d'essere l'amante di sua moglie. Dopo aver vendicato
la morte del padre, il nostro eroe fuggirà per lidi lontani. Salpato con una
nave in un paese del lontano Oriente, venduto come schiavo, diverrà, poi,
l'amante delle mille mogli di un sultano. Successivamente, per il timore di
essere scoperto, approderà nell'isola di Eros, dove incontrerà una bellissima e
candida fanciulla che, una volta scoperto il numero delle sue avventure amorose
non contraccambierà più il suo amore…Il dr. Mickler, affascinato da questo
racconto, intuisce che sarà difficile scalfire le costruzioni "deliranti" del
suo giovane paziente. E per scoprire chi si cela realmente dietro questo
straordinario personaggio, andrà a casa della zia di Don Juan. E dal racconto
della donna, il dottore comprenderà come le rocambolesche storie del ragazzo non
erano altro che delle "pietose" bugie che il paziente aveva costruito per
fuggire da una triste e desolante realtà familiare e personale. L'epilogo del
film sembra avviarsi verso un malinconico fallimento terapeutico. Il vecchio
psichiatra che, fino ad allora si era rifiutato di mettere in terapia
farmacologica il paziente, capitolerà. Ma con un happy-end di stile
hollywoodiano, allo scadere dei fatidici dieci giorni di osservazione, il
paziente smetterà i panni di Don Juan e confesserà cosa lo aveva spinto a
tentare il suicidio:
"Sono nato a Quince. Quando avevo sedici
anni mio padre ha avuto un incidente d'auto mentre stava andando fuori
città..Mia madre aveva delle storie con altri e mio padre lo sapeva. Comunque si
é sentita così in colpa che nel giro di tre settimane, si è fatta suora in
Messico…Non sapevo cosa fare, così un giorno stavo guardando questa rivista e
c'era una ragazza nuda. Sapevo che mi avrebbe ignorato, così com'ero. Stavo
leggendo un libro e ho deciso di diventare Don Juan. Allora ho chiamato la
rivista. Non volevano aiutarmi, darmi nessun'informazione, così stavo quasi per
arrendermi. Una donna ha avuto pietà di me e ha finito per darmi di nascosto il
numero. Così le ho telefonato e lei mi ha chiamato imbecille ed ha riattaccato
il telefono. Allora ho pensato di uccidermi o almeno, ho pensato di dare
l'impressione che ero pronto ad uccidermi per attirare l'attenzione. Non ho mai
avuto l'intenzione di uccidermi sul serio".
Dopo quest'amara confessione di Don Juan, il
regista conclude il film con un artificio di natura fiabesca. Sarà lo stesso dr.
Mickler che in compagnia di sua moglie condurrà Don Juan sull'isola di Eros,
dove il nostro eroe ritroverà colei che, nella sua costruzione fantastica, era
la sua amata fanciulla.
Lo psichiatra
" E' roba per un super strizzacervelli",
dichiara, all'inizio del film, il
poliziotto di turno. Il dr. Mickler da questa frase intuisce che gli spetta un
compito difficile e proibitivo. E' già evidente, sin dalle prime scene, come il
regista sottolinei il contrasto tra il giovane aspirante suicida che, nel pieno
del suo vigore atletico é salito in cima al tabellone pubblicitario e lo
psichiatra che, appesantito dagli anni, a stento riesce ad entrare nella cabina
del carrello elevatore che lo porterà, ad incontrare il giovane seduttore. Nel
corso del film é interessante notare come, al paziente sull'orlo del suicidio, è
contrapposto quest'anziano psichiatra, stanco e demotivato professionalmente e
che, per sua scelta, ha deciso di andare in pensione. Nell'approcciare il
paziente, il dr. Mickler comprende che deve rispettare il suo delirio e seguirne
la scia. Non lo deride per il suo goffo abbigliamento, né si lancia in gratuite
ed intempestive interpretazioni, né gli chiede per quale motivo voglia
incontrare questo fantomatico Don Francisco da Silva. Non entra in simmetria con
lui, ma mettendo in atto un originale stratagemma si presenta a lui come Don
Octavio, lo zio di Don Francisco da Silva. Non lo squalifica, dunque, né
ingaggia con lui inutili bracci di ferro ma mostrandosi ai suoi occhi, come una
figura accogliente e protettiva, lo induce a desistere dal suo
proposito.Inizialmente il dr. Mickler non riesce a convincere il direttore della
Clinica ad affidargli il paziente che, infatti, é dirottato ad un altro
terapeuta. Naturalmente, per esigenze di copione, quest'altro terapeuta sarà
incapace di stabilire un seppur minimo contatto emotivo con il ragazzo. Dopo un
esilarante e disastroso colloquio, il goffo psichiatra lascerà via libera
all'anziano collega. Nel corso della narrazione, assistiamo a come il dr. Micker
ascolta, impassibile, le fantastiche ricostruzioni di questo singolare
personaggio. E quando l’anziano psichiatra, per valutare la sua adesione alla
realtà, gli chiederà:
"Cosa rispondereste a qualcuno che vi
dicesse che questo é un Ospedale Psichiatrico, che voi siete un paziente e che
io sono il vostro psichiatra?" In
risposta, si sentirà dire: "Gli risponderei che il suo é un modo abbastanza
limitato e poco creativo di vedere la situazione. Voi volete sapere se capisco
che questo é un Ospedale per malati di mente? Si, lo capisco benissimo; ma
allora come faccio a dire che voi siete Don Octavio ed io un ospite della vostra
Villa? Guardando al di là di ciò che é visibile all'occhio "
Sin da questa risposta, il dr. Micker,
percepisce che Don Juan gli lancia una singolare quanto affascinante sfida;
abbandonare tutte le sue teorie e lasciarsi andare a ciò che va aldilà del
consueto e del conosciuto. Nel gioco dei rimandi e degli specchi, propri della
relazione terapeutica, s’intuisce che Don Juan gli indicherà la strada di come
aiutarlo. Come lui riesce a leggere l'animo femminile perché "guarda al di là di
ciò che é visibile all'occhio" così lo psichiatra, per giungere alla verità, per
comprendere cosa si cela dietro il suo delirio, dovrà abbandonare quegli schemi
e quelle formule pre-costituite, su cui si fonda il suo ormai logoro sapere
scientifico. Di fronte a quest'insolita sfida, lo psichiatra vacilla, al punto
da non saper poi classificare, da un punto di vista nosografico, la patologia
del suo giovane paziente: "Disordine compulsivo-ossessivo, con componente
erotomane. Disturbi deliranti e depressione con componente ossessiva. Probabile
personalità isterica." Ma forse il dr. Mickler é confuso perché ha intuito
che Don Juan potrebbe aiutarlo a smuoversi da quel torpore affettivo che lo
attanaglia e che lo immobilizza da tempo, sia professionalmente sia nella sua
vita coniugale. Il paziente sembra aver colto questo bisogno nel suo terapeuta
quando, rassicurandolo, gli dice: "Siete un grande amante, anche se avete
smarrito la strada" O quando poi, successivamente, lo incalza affermando:
"Credete che non sappia che cosa vi
accade? Avete bisogno di me, per una trasfusione. Perché il sangue é diventato
polvere e vi ha occluso il cuore. Il vostro bisogno di realtà, il vostro bisogno
di un mondo dove l'amore é incrinato continuerà a soffocarvi le vene, finché in
voi non ci sarà più vita. Ma il mio mondo perfetto non é meno reale del vostro
mondo. E' solo nel mio mondo, che voi potete respirare..."
Come accade frequentemente nella
rappresentazione cinematografica degli "analisti in celluloide", anche in questo
caso, sarà il paziente che aiuterà maggiormente il suo terapeuta e non
viceversa. L'anziano psichiatra, grazie all’aiuto del giovane seduttore,
riannoderà i fili, ormai consunti della propria vita coniugale, riproponendosi
agli occhi della sua sposa con rinnovate energie. Ed a testimoniare questo
graduale "sentire" che accomunerà i due protagonisti della vicenda
filmica, come si congederà dagli spettatori, il tenero ed affettuoso dr. Mickler
se non declinando egli stesso la sua "nuova" assunzione d'identità?
"Mi chiamo Don Octavio del Flores e sono
il più grande psichiatra del mondo. Ho curato più di mille pazienti. I loro
volti si trattengono nella mia memoria ma nessuno più di Don Juan De Marco".
Il paziente
"Non approfitto mai di una donna. Dono
alle donne piacere, se lo desiderano, e va da sé che é il più grande piacere che
potranno mai provare...Ci sono alcune donne, dall'aspetto incantevole, con una
certa qualità dei capelli, la curva delle orecchie che si prolunga come la
rotondità di una conchiglia. Queste donne hanno le dita sensibili come le loro
gambe; i polpastrelli provano le stesse sensazioni dei loro piedi. E quando
tocchi le loro nocche é come passare le tue mani sulle loro ginocchia. Toccare
questa tenera, carnosa parte delle dita, equivale a sfiorare con le mani le loro
cosce. Ogni donna é un mistero da risolvere ma una donna non cela nulla a un
vero amante. E' il colore della sua pelle a dirci come procedere; se ha
l'incarnato come quello di una rosa, pallido e vermiglio, deve essere persuasa
ad aprire i suoi petali con lo stesso calore del sole; la pelle chiara e
screziata di una rossa richiede la lussuria di un'onda che si infrange sulla
spiaggia, in modo da scuotere ciò che giace nascosto e portare in superficie la
spumeggiante delizia dell'amore…Ci sono solo quattro domande che contano nella
vita: cosa é sacro, di cosa é fatto lo spirito, per cosa vale la pena di vivere
e per cosa vale la pena di morire…La risposta, ad ognuna, è la stessa: solo
l'amore".
Da queste frasi si può comprendere
facilmente qual è la filosofia a cui s'ispira il nostro giovane protagonista.
Don Juan, a differenza dei suoi omonimi predecessori, non é il cinico o
l'altezzoso seduttore che ispira disapprovazione e condanna per le sue
conquiste. Non s'introduce furtivamente di notte nelle stanze delle giovani
donzelle, né le circuisce con le lusinghe d'ipotetici matrimoni. Curiosamente in
bilico tra spirito e carne, a Don Juan non sembra desiderare il "possesso" della
donna quanto quello di godere "esteticamente" per il suo cedimento ed il suo
abbandono. Dotato di una straordinaria versatilità linguistica, incanta con il
suono delle sue parole le sue giovani prede che, smarrite e turbate, cedono di
colpo alle sue lusinghe. Ma in realtà chi si cela dietro questa "macchina
desiderante", dietro questo "rubacuori" che distilla piacere alle donne? Per
come é confezionata la trama é facilmente intuibile come Don Juan ammanti di
mistero e di poesia, gli accadimenti della sua vita, al fine di rimuovere, in
maniera difensiva, la sua reale sofferenza. Se scomponiamo il film, fotogramma
dopo fotogramma, possiamo cogliere come il regista, con sapiente maestria, ci
disvela la storia del paziente. Il nostro caro seduttore, all'inizio della
storia ci è mostrato con il volto coperto da una maschera. E' lo stesso dr.
Mickler che ci offre un'interpretazione di questa sua scelta:
"Si sente così in colpa, si sente così
sopraffatto dalla vergogna che si mette la maschera e giura che mai più si
toglierà la maschera dal volto, finché avrà vita. Siamo alla perfezione del
mito". Lo stesso direttore della
Clinica, in accordo con la sua ipotesi interpretativa aggiunge: "E' come un
mito greco. Il figlio diventa potente, sessualmente attivo, porta alla
distruzione suo padre, di cui prende il posto. E' chiaro che deve farlo, un
giorno, per diventare uomo, ma la colpa di prendere di prendere il posto di un
uomo che lo ama e che gli ha dato la vita, è troppo grande e spaventosa, perciò
deve nasconderla, mettendosi una maschera."
Se attraversiamo la pellicola possiamo
scoprire, come il regista dissemini altri nessi che confermano le ipotesi dei
due psichiatri. Sappiamo che il padre di Don Juan era al corrente delle
avventure extra-coniugali della moglie. Anche se nella pellicola non è fatto
nessun accenno alle ragioni che spingevano la madre a tradire il marito,
possiamo ipotizzare che il piccolo Don Juan abbia considerato suo padre incapace
di soddisfare sessualmente la moglie. Non potendosi identificare con un padre
"potente" cosa resta a Don Juan se non quello di regalare al padre una morte
eroica, facendolo perire, in duello, dopo aver difeso l'onore della sua sposa?
Se sposiamo questo filone interpretativo che, rilegge in chiave edipica le
vicende di Don Juan, possiamo ipotizzare che la scelta della madre di ritirarsi
in convento e di farsi suora, sia contemporaneamente un modo per espiare i suoi
sensi di colpa (per i suoi precedenti tradimenti coniugali) o un estremo
tentativo di mettere al riparo il figlio da una possibile relazione incestuosa.
Nella storia fantastica raccontata dal ragazzo, non é forse lei che prevedendo
la probabile ed imminente catastrofe, lo induce, ad imbarcarsi per lidi lontani?
Volendo rimarcare la centralità del rapporto con la madre, appaiono evidenti le
connessioni tra la ragazza copertina della rivista per soli uomini e
l'atteggiamento "licenzioso" della madre di Don Juan. Ed infine come non
rivedere nella ragazza del poster che lo rifiuta il sostituto della madre?
Conclusioni
Nell'analizzare il mito di Don Giovanni ho,
forse, imposto al testo filmico di combaciare alle mie ipotesi. Ma come ricorda
Metz: "Lo spettatore cinematografico non é altro che un "voyeur", un
individuo che deve mantenere una certa distanza tra se stesso e l'immagine,
distanza, che si frappone tra il desiderio e il suo oggetto" Spero che anche
il lettore, nel seguire le mie peregrinazioni, intorno al mito di Don Giovanni,
scelga una distanza amorosa che lo porti ad essere nella storia che ho proposto
ed altrove.
Stralcio dell’articolo pubblicato su Interazioni -
Numero 2 1996/ 8 Franco Angeli Editore
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